In pensione prima ma con meno soldi in tasca?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-06-06

Prima di arrivare alle nuove anzianità targate “quota 100” (con un minimo di 64 anni e non più di 3 anni di contribuzione figurativa) bisogna decidere se le future pensioni saranno realizzate con il contributivo. Guardate cosa succede…

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Anche se non è stata nominata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo discorso, la riforma Fornero resta al centro del percorso di attuazione del “contratto” di governo. Anche perché ci sono alcuni grossi problemi di equità da risolvere prima di muoversi. Uno di questi lo solleva oggi Il Sole 24 Ore, spiegando come prima di arrivare alle nuove anzianità targate “quota 100” (con un minimo di 64 anni e non più di 3 anni di contribuzione figurativa), o “quota 41” a prescindere dall’età, bisogna per esempio decidere se le future pensioni a requisiti ridotti saranno ricalcolate o meno con il “contributivo” ragguagliato ai coefficienti di trasformazione a 64 anni. Proprio quest’ultima opzione, infatti, che prevede una penalizzazione sull’assegno finale, rientra nello schema messo a punto dagli esperti della Lega, un meccanismo che potrebbe garantire il rispetto del target dei 5 miliardi l’anno di maggiore spesa previdenziale annunciata.

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La Riforma Fornero e la Dual Tax: cosa succede alle pensioni (Il Sole 24 Ore, 6 giugno 2018)

Fa sapere Alberto Brambilla, il quale nel toto-nomine è in corsa per un posto di vice-ministro al Lavoro, che il penalty non sarebbe per tutti: i lavoratori che hanno avuto carriere piatte e senza aumenti retributivi negli ultimi anni (situazione assai diffusa dal 2008 in poi) non subirebbero quasi alcuna perdita, mentre una sensibile riduzione potrebbe arrivare per chi ha beneficiato di aumenti salariali (fino al 9-10% per un 64enne con oltre 20 anni di contributi). In più c’è un altro effetto interessante da studiare ed è quello che viene spiegato nell’infografica sull’effetto della flat tax o dual tax:  i risparmi che otterranno i pensionati d’oro attraverso la tassa piatta (fatta in realtà da due aliquote molto basse), saranno di gran lunga più cospicui dei tagli che subiranno le loro pensioni. Questo perché più alte sono le pensioni, più si riduce lo squilibrio tra contributi pagati e pensione percepita, e così alla fine il taglio previsto non sarà così forte da annullare i vantaggi della tassa piatta.

Prendiamo ad esempio un pensionato che prende 10 mila euro lordi al mese, 5.837 netti. Con il taglio del 5%, il suo assegno si riduce a 9.500 euro lordi, che con l’attuale tassazione equivalgono a 5.553 euro netti: dunque 284 euro in meno. Ma con la flat tax quell’assegno netto risale di 1.958 euro. Guadagno finale: 1.674 euro in più al mese nelle sue tasche, con un aumento della pensione del 29%. Facciamo un esempio limite: il fortunato che ha una pensione di 40 mila euro al mese, da una parte avrà un taglio di 2 mila euro, dall’altra un risparmio fiscale di oltre 8 mila: 6 mila euro in più al mese.

Leggi sull’argomento: Dove la flat tax c’è (e non funziona)

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