Cultura e scienze

Coronavirus: cosa significa essere debolmente positivi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-07-07

Spesso leggiamo nei report e nei bollettini sul Coronavirus SARS-COV-2 che ci sono pazienti “debolmente positivi”: una delle regioni a fare questo tipo di distinzione nel conteggio dei risultati dei test del tampone è la Lombardia nei suoi report giornalieri. La Protezione Civile però non fa questa distinzione. Ma cosa significa essere debolmente positivi al Coronavirus?

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Spesso leggiamo nei report e nei bollettini sul Coronavirus SARS-COV-2 che ci sono pazienti “debolmente positivi”: una delle regioni a fare questo tipo di distinzione nel conteggio dei risultati dei test del tampone è la Lombardia nei suoi report giornalieri. La Protezione Civile però non fa questa distinzione nel riepilogo di monitoraggio sui dati dell’Italia. Ma cosa significa essere debolmente positivi al Coronavirus?

Coronavirus: cosa significa essere debolmente positivi

A spiegare oggi cosa significa essere debolmente positivi al test del tampone sul Coronavirus è l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco sulla sua pagina Facebook: «L’immagine che vi mostro (per concessione dell’ottimo Dott. Antonio Fasanella, virologo Direttore Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata, con all’attivo decine di isolamenti di SARS-CoV-2) si riferisce all’effetto osservato in vitro su un tappeto di cellule da parte di un ceppo di coronavirus isolato da un paziente più che debolmente positivo. Si tratta di un paziente che ha contratto l’infezione mesi fa e che, a controlli ripetuti, alterna ancora oggi tamponi negativi a tamponi debolmente positivi. L’immagine non ha bisogno di commento neanche per un non addetto ai lavori: l’effetto distruttivo del virus sul tappeto cellulare è evidentissimo. Il virus dunque si è indebolito? Certamente no. L’aggettivo “debole” si riferisce alla carica virale che questi pazienti esprimono. Cioè hanno una debole carica virale».

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Immagine da Pier Luigi Lopalco su Facebook

Lopalco però avverte: «I casi “debolmente positivi” sono contagiosi? Non lo sappiamo. Certamente hanno particelle virali con capacità replicativa nel naso-faringe. Non è escluso che siano anche questi pazienti a mantenere attivo un certo reservoir virale anche in assenza di casi clinici manifesti. Dobbiamo continuare ad osservare il comportamento del SARS-CoV-2 e la sua capacità di interazione ed adattamento all’ospite. Nel frattempo le regole devono essere sempre le stesse: vigilanza da parte delle autorità sanitarie e prudenza da parte dei cittadini. Perché credo che a nessuno farebbe piacere trovarsi nei polmoni un virus debolmente positivo come quello in figura».

I tamponi «debolmente positivi» e il Coronavirus «a bassa carica virale» in Lombardia

Ma perché Regione Lombardia ha scelto di segnalare i debolmente positivi? Mentre Lopalco afferma che non sappiamo se questa categoria è contagiosa,  il professor Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri ha sostenuto che secondo le loro ricerche i nuovi positivi al Coronavirus non sono (così) contagiosi (come i primi). Come ha spiegato all’epoca il Corriere della Sera:

Si parte dal 20 febbraio, quindi l’indomani del giorno in cui il «Paziente 1» (che ne nascondeva tanti altri dei mesi precedenti) viene diagnosticato al pronto soccorso di Codogno e si arriva ai nostri  giorni. Se la percentuale di casi debolmente positivi in quella prima  settimana rasenta lo zero, avvicinandosi al massimo al 3 per cento (il 26 febbraio), ma tornando allo zero tre giorni dopo, nell’ultima settimana  invece si attesta intorno al 50 per cento, con un picco del 59 (il 12 giugno).

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I tamponi “debolmente positivi” in Lombardia (Corriere della Sera, 21 giugno 2020)

Significa che questi casi generano positività registrate nella stessa casella dei contagi come a inizio  epidemia ma con una carica virale minima, quindi probabilmente non più contagiosa. Questo spiega come la gran parte dei nuovi positivi riscontrati in Lombardia nelle ultime settimane  derivi dai test sierologici. E la storia del sierologico, per quanto ancora tutta da scrivere, racconta  di casi più «antichi», con un residuo di carica virale, quindi inevitabilmente più bassa. Abbastanza  però da far risultare positivo il tampone e quindi finire nei casi di giornata, ma non a trasmettere socialmente il contagio.

Ma allora chi ha ragione? La verità è che la scienza non ha finora certezze sulla questione. Così come non ne ha sulla questione dell’infettività dei sintomatici, degli asintomatici o dei paucisintomatici, anche se, per esempio, secondo lo studio di Andrea Crisanti pubblicato su Nature non risultano differenze significative di carica virale tra sintomatici e asintomatici, e questo suggerisce la potenziale contagiosità anche di chi contrae il virus con scarsi sintomi o nessuno.

Leggi anche: Coronavirus: come proteggersi dall’infezione per via aerea

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