Chi ha le chiavi per impedire l'esplosione di un conflitto tra Corea del Nord e Stati Uniti?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-04-14

Mentre Kim Jong Un si prepara a condurre un nuovo test nucleare Trump è pronto ad attaccare la Corea del Nord “con o senza la Cina” ma forse la chiave per evitare il conflitto è proprio nelle mani di Pechino (e di Seoul)

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La tensione tra Corea del Nord e Stati Uniti continua ad aumentare mano a mano che ci si avvicina alla data fatidica del 15 aprile. In quella data gli Stati Uniti (e con loro anche la Cina) temono che il regime di Pyongyang abbia intenzione di effettuare un nuovo test nucleare. In tal caso gli USA si sono detti pronti a lanciare un attacco preventivo – con armi convenzionali – per colpire il sito del test nucleare. La data scelta da Kim Jong Un per “l’avvenimento importante” è fortemente simbolica infatti il 15 aprile ricorre l’anniversario della nascita di Kim Il Sung, primo premier della Corea del Nord (e nonno dell’attuale dittatore nordcoreano) nato nel 1912. I nordcoreani si riferiscono a quella data come “il giorno del Sole”.

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Uno dei più recenti tweet di avvertimento alla Corea del Nord

Donald Trump contro quel che resta dell’Asse del male di Bush

Secondo quanto riferisce 38north.org che si occupa di analisi di questioni nordcoreane nel sito di Punggye-ri, dove la Corea del Nord svolge i suoi test sulle armi atomiche, in base all’analisi delle immagini satellitari in queste settimane c’è stata un’intensa attività e tutto sarebbe pronto per un eventuale test. Il che non significa che il test ci sarà ma è certo che l’attivismo militare di questi giorni di Donald Trump (ad esempio il lancio di una Gbu43/b ieri in Afganistan) sia un modo di mandare messaggi sempre più chiari e inequivocabili al regime coreano. Il gruppo navale della portaerei Carl Vinson incrocia nelle acque del Pacifico settentrionale e due cacciatorpedinieri sarebbero a distanza di tiro per colpire il sito nucleare nordcoreano con i missili Tomahawk. In questi giorni però non sono solo gli americani (e con loro giapponesi e sudcoreani) ad esprimere preoccupazione rispetto alla situazione nell’area. Il governo nordcoreano ha fatto sapere che la decisione degli USA di avvicinare alcune forze navali al Paese costituisce “una seria minaccia alla pace” e che rischia di condurre i due paesi “sull’orlo di una guerra nucleare” (il tutto peraltro mentre due parlamentari italiani sono in visita a Pyongyang). Il governo cinese invece tenta di raffreddare la situazione auspicando che le due parti smettano di provocarsi l’una con l’altra. Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha chiesto che le nordcoreani e statunitensi “desistano dal provocarsi e minacciarsi l’uno con l’altro, sia con parole che con azioni, e non lascino scivolare la situazione verso una fase irreversibile e ingestibile”. Non bisogna dimenticare che in tutti questi anni la Cina è stata il principale sbocco del mercato nordcoreano nonché una dei più solidi alleati di Pyongyang. Inoltre il Presidente cinese Xi Jinping era in visita negli USA quando Trump ha ordinato l’attacco contro la base siriana di Shayrat. Lo ha fatto – durante il dessert come ha tenuto a precisare in un’intervista a Fox News rilasciata due giorni fa – anche per dimostrare qual è la vera potenza militare globale in questo momento. Per farlo Trump starebbe pericolosamente giocando su più fronti: con la Russia in Medio Oriente e con la Cina in Asia.


In un certo senso sembra quasi che Trump preferirebbe che fosse la Cina a risolvere la situazione con la Corea del Nord, ma in caso questo non avvenga o non sia possibile il Presidente USA sembra determinato ad attaccare unilateralmente la Corea del Nord.
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Qual è l’obiettivo di Kim Jong Un?

Trump si sente legittimato a farlo per fermare lo sviluppo del programma nucleare nordcoreano e impedire a Kim Jong Un di continuare ad incrementare il suo arsenale di armi atomiche. In realtà del programma nucleare di Pyongyang non si sa molto: dal 2006 ad oggi i nordcoreanni hanno condotto cinque test nucleari, due nel 2016: uno a gennaio e uno a settembre dove pare sia stata testata una bomba ad idrogeno. A preoccupare maggiormente però è la possibilità che l’esercito nordcoreano è in possesso di missili balistici in grado di raggiungere gli Stati Uniti. In realtà non sono mai stati effettuati test su missili a lungo raggio e c’è chi dubita che la Corea del Nord abbia dei missili intercontinentali davvero funzionanti che fino ad ora sono stati mostrati solo durante le parate. Ci sarebbero però alcuni modelli di missili a raggio medio e intermedio con gittata superiore ai 1.000 chilometri che potrebbero raggiungere le coste giapponesi ed eventualmente le basi USA ad Okinawa e Guam.


Il problema a questo punto è rappresentato dal fatto che molti, Trump per primo, sembrano non vedere alternative ad un’escalation e all’esplosione di un conflitto (non necessariamente atomico). I contatti diplomatici con la Corea del Nord però sono difficili ma non impossibili, anche perché a quanto pare dietro gli annunci roboanti di Pyongyang e la sempre maggiore bellicosità di Kim Jong Un potrebbe esserci una semplice strategia. Forse il dittatore nordcoreano non è davvero matto come sembra e del resto un conflitto aperto con gli USA (senza il sostegno della Cina) significherebbe la fine della sua leadership. Secondo il Guardian Kim Jong Un sarebbe ad esempio intenzionato non tanto ad andare in guerra con gli USA ma a costringere Cina e Corea del Sud ad essere più disponibili ad accettare le sue condizioni per una Corea del Nord meno aggressiva. In fondo alla Cina non conviene avere gli USA militarmente impegnati sulla porta di casa. Insomma Kim Jong Un starebbe facendo tutto questo in parte per rafforzare la sua leadership interna (e continuare a perpetuare l’immagine mitologica e divina della dinastia dei Kim della quale è membro) e in parte per poter ottenere sussidi (economici ma anche alimentari visto che il paese è alla fame) dai due vicini asiatici. In quest’ottica le armi atomiche e i test sarebbero quindi un semplice deterrente per evitare di fare la fine di Gheddafi, Saddam Hussein e – eventualmente – Bashar al-Assad.

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