Come l’ingegner De Benedetti vuole ricomprare Repubblica

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-10-15

L’Italia è quello strano paese in cui i vecchi ambiscono a prendere il posto dei giovani: lo strano caso della guerra dell’Ingegnere contro Rodolfo, Marco ed Edoardo

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Carlo De Benedetti rilascia oggi un’intervista al Corriere della Sera per spiegare perché, a 85 anni, ha deciso di offrire ai figli soldi (pochi) per riprendersi il gruppo GEDI, che oggi edita Repubblica, Stampa, Secolo XIX e altri quotidiani locali oltre a l’Espresso. L’ingegnere, ex protagonista di primo piano dell’economia italiana, usa parole molto dure nei confronti di Rodolfo, Marco ed Edoardo che accusa di non avere passione per l’editoria e di non aver saputo gestire l’azienda:

«Sono convinto di riuscire a persuadere gli altri soci che si tratta di un dovere di fronte al Paese, che spetta a chi ha avuto l’onore e l’onere di gestire il gruppo».

Dovrà prima convincere i suoi figli. Ha parlato con loro?
«No. Sarebbe stato inutile, perché non accettano le premesse: riconoscere che non sono capaci di fare questo mestiere».

Sono parole molto dure.
«I miei figli sanno fare bene altri mestieri. Ma non hanno la passione per fare gli editori. Non hanno neanche la competenza; ma prima di tutto non hanno la passione. E senza passione non puoi fare un mestiere così particolare, artigianale, per il quale occorrono sensibilità, gusto estetico,  cultura, capacità di conduzione di uomini, talento per mettere insieme un’orchestra e il direttore che  la dirige, decidere quale spartito suonare. I miei figli, in particolare Rodolfo, lo considerano un business declinante; e non hanno neanche torto. Ma questo significa considerarlo un mestiere qualsiasi; e invece l’editore non è un mestiere qualsiasi. La grande ingenuità dei miei figli è continuare da tempo a cercare un compratore per il gruppo. Una ricerca inutile: in Italia un compratore non c’è».

carlo de benedetti caracciolo scalfari

Le parole di De Benedetti vanno contestualizzate: da anni Repubblica perde copie e nel frattempo ha cambiato tre direttori senza fermare l’emorragia: Ezio Mauro, Mario Calabresi e Carlo Verdelli, l’attuale che viene da RCS e dal grande successo ottenuto con la Gazzetta dello Sport. I prodotti del gruppo GEDI però continuano a perdere soldi, tanto che le strutture hanno dovuto accettare piani di ristrutturazione lacrime e sangue che però finora non sono bastati a riportare in equilibrio i conti del gruppo. Ora arriva l’offerta dell’ingegnere e papà, che però valuta l’intero gruppo 38 milioni di euro: accettare l’offerta, per i figli, significherebbe svalutare la partecipazione di CIR in GEDI con una perdita di 150 milioni. Sul punto, interrogato da Aldo Cazzullo, De Benedetti è sprezzante:

«Intanto gli azionisti Cir dovrebbero ringraziarmi per questo regalo piuttosto consistente: la mia offerta ha fatto aumentare il valore in Borsa del titolo di oltre il 15%. Un contributo più rilevante di quello che ha dato l’attuale gestione. Il mercato ha dimostrato che l’azienda, se gestita non dai miei figli, vale di più. Gestita dai miei figli, l’azienda vale 25 centesimi ad azione. La pago al prezzo cui hanno ridotto l’azienda. Perché dovrei pagarla di più? E poi non compro tutto, ma il 30 per cento. Non è questione di soldi, non voglio fare un affare. Le ripeto che dopo il rilancio intendo regalare le azioni a una Fondazione».

Ma il prezzo è basso.
«Lo so anch’io che è basso. Segno che hanno fatto un bel disastro».

De Benedetti dice anche di essere soddisfatto di Verdelli, segno che non vuole cambiare il direttore, e sostiene di avere l’intenzione di rilanciare l’azienda e poi di porla sotto il controllo di una fondazione. L’Italia è quello strano paese in cui i vecchi ambiscono a prendere il posto dei giovani.

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