Opinioni
Sapori di Toscana: la zuppa del Carcerato
di Vincenzo Vespri
Pubblicato il 2019-11-20
Credo che in Toscana, se uno sa osservare, riesce sempre a trovare in un angolo, in un particolare quello che noi definiamo genio. Genio nel senso di Amici Miei ossia fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. E’ un genio sottile, diverso da quello meridionale che pure abbonda ma è diverso, è più arte di arrangiarsi. […]
Credo che in Toscana, se uno sa osservare, riesce sempre a trovare in un angolo, in un particolare quello che noi definiamo genio. Genio nel senso di Amici Miei ossia fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. E’ un genio sottile, diverso da quello meridionale che pure abbonda ma è diverso, è più arte di arrangiarsi. Il genio toscano è la capacità di rendere indimenticabile uno scambio di battute o rendere speciale un luogo che sembra anonimo. Oggi ho chiacchierato con un vero Toscanaccio. E’ una montagna di muscoli (giocava a rugby da giovane), è il capo di un’azienda informatica in grande crescita ed è un vulcano di idee. Avremmo dovuto parlare di tirocinanti d’informatica e dell’applicazione della blockchain sia all’itticoltura che al tracciamento di prodotti al fine di verificarne la qualità. Lo abbiamo fatto, ma poi, da bravi toscani, abbiamo divagato. Abbiamo all’inizio discusso di cucina e di come la Toscana abbia influenzato la cucina francese grazie a Caterina dei Medici. Perfino i francesi lo ammettono, (almeno i Francesi di un paio di secoli fa come sua maestà Carême) e noi toscani ne siamo molto fieri di ciò. Il mio amico mi ha parlato che, per stupire i suoi ospiti, aveva preparato lo scorso Natale il papero alla melarancia. Se uno non lo sapesse (io non lo sapevo), la melarancia è un’arancia amara con succo fruttato ed è l’agrume ideale per accompagnare il papero. E’ una antica ricetta toscana rinascimentale. Caterina la portò a Parigi e i francesi adesso si vantano della sua rielaborazione, la canard à l’orange. Secondo il mio amico, l’originale ossia il papero alla melarancia è decisamente più gustoso della copia francese. Devo provarlo alla prima occasione…
Dopo aver parlato di cibo, non potevano fermarci alla mensa dell’azienda e siamo andati al Ristoro del Farro, classica cucina da strada fiorentina. Situato accanto ai mercati generali fino a qualche hanno fa era veramente minimale: ci si sedeva su cassette vuote della frutta e si preparava la tavola con altre cassette). Adesso è leggermente migliorato anche se posate e piatti sono di plastica e il servizio è inesistente. Il cibo è buono e il rapporto qualità/prezzo stratosferico. Ma più che il cibo è l’atmosfera prettamente toscana a rendere unico il posto. Ad esempio, lo pseudo cameriere era sfottuto come uno che si poteva infiascare (beveva così tanto vino che a detta di tutti, lui non si vestiva, si infiascava..). Gli avventori erano vari: dal bancario, al prof universitario, allo scaricatore. Il vino, in gran quantità, provvedeva rapidamente a livellare le differenze economiche e culturali. Accanto alle cucine un lungo tavolaccio di plastica chiamato tavolo della cultura perché riservato a risolvere i problemi del mondo. Ci sono sia ospiti occasionali che ospiti fissi. Fra quelli fissi un ex giocatore della Fiorentina (ormai più largo che alto) e un altro chiamato Figurino (chiamato così perché ancora più largo del giocatore di calcio). La peculiarità di questo tavolo è che dopo un po’ di vino i commensali affrontano e risolvono senza alcun tentennamento tutti i problemi del mondo. Mi hanno ricordato il Conte Attilio dei Promessi Sposi che, senza alcuna incertezza, sosteneva che per risolvere la carestia bastava impiccare i fornai…Ecco i discorsi che oggi facevano al tavolo della cultura riguardavano la Merkel e non differivano molto da quelli che avrebbe potuto fare il Conte Attilio… Altro che sondaggisti del cavolo: basta sedersi ogni giorno al tavolo della cultura e uno ha un’idea abbastanza precisa di come e cosa pensa il popolo toscano. Al ristoro ho preso una mezza porzione di fettuccine al cinghiale, mezza porzione di zuppa di porcini, un bicchierazzo di vino e un caffè corretto alla sambuca, tutto per dieci euro. Non c’era il carcerato: il piatto forte del Ristoro. E’ un piatto tipico del pistoiese: una pappa ottenuta facendo cuocere del pane raffermo unito al brodo di cottura delle interiora del vitello, a cui si aggiunge formaggio grattato e pepe. Il piatto nacque nel carcere di Santa Caterina di Pistoia. I detenuti e i secondini si facevano dare gli scarti della macellazione ( il così detto sesto quarto..altro che quinto quarto dei romani) per un pasto più energetico e saporito del semplice pane e acqua. Mi hanno detto che è buonissimo, devo provarlo…Questi sono i veri “sapori” della mia terra, la Toscana.
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