Perché il Bolsonarismo non può non essere un populismo

di Francesco Guerra

Pubblicato il 2020-04-11

Un governo moderato non avrebbe alcuna necessità di mantenere una costante ‘sintonia di affetti’ col proprio popolo, più ancora, un governo moderato non si riconoscerebbe in alcun popolo, bensì governerebbe per tutti i brasiliani intesi come citoyenneté, prima ancora che come popolo. Bolsonaro, al contrario, non può fare a meno del proprio popolo, che ogni volta lo ricambia, mimandone il gesto dell’arma o chiamandolo ‘mito’

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In un interessante reportage pubblicato il 9 aprile sul sito di giornalismo investigativo Agência Pública (qui il reportage ) il generale della riserva dell’esercito brasiliano, Paulo Chagas, ha fatto il punto sulla spinosa situazione interna all’attuale maggioranza di governo, che guida il Brasile ed in particolare sui contrasti interni a tale maggioranza, che, ogni giorno di più, stanno indebolendo la già fragile leadership di Jair Bolsonaro. Le parole di Chagas risultano essere particolarmente interessanti, perché svelano un lato, per così dire, costituzionale interno alle forze armate al quale, detto con estrema franchezza, non siamo abituati. Chagas ammette che, in qualità di Presidente della Repubblica, Bolsonaro è anche capo delle forze armate e da queste riceverà tutto l’appoggio necessario a governare, fino a quando, almeno, il presidente agirà dentro i limiti della legalità.

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Perché il Bolsonarismo non può non essere un populismo

Entro questa prospettiva, le parole del generale sembrano confermare ciò che la vicenda legata al Ministro della Salute Mandetta aveva portato brutalmente alla luce: il cordone sanitario costruito dalle forze armate per difendere, di fatto, Bolsonaro dallo stesso Bolsonaro e che, in termini pratici, si riassume nella ferrigna relazione che unisce i comandi militari con i generali facenti parte dell’esecutivo, a partire dal vice-Presidente Mourão e dal Ministro della Casa Civil, il generale Braga Netto. Come ben messo in luce dal succitato reportage, è stato Hamilton Mourão ad indicare Braga Netto per la Casa Civil – in tal modo mettendo in quarantena Bolsonaro – come pure, sempre il vicePresidente ha indicato il generale per coordinare il Comitato Ministeriale atto a gestire la crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. Non a caso, nei giorni scorsi fu proprio Braga Netto ad annunciare la permanenza del Ministro della Salute nel suo incarico. Una situazione, questa, che l’analista politico Bob Fernandes su YouTube aveva acutamente definito essere del tutto simile ad una “una monarchia costituzionale”. In altre parole, Bolsonaro mantiene il suo incarico presidenziale, ciononostante chi esercita il potere effettivo, almeno in questo delicato momento, è quel pentavirato, di cui ho parlato, su queste stesse pagine, in un recente articolo.

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Più complicato appare seguire il ragionamento di Chagas, laddove distingue tra una opinione pubblica, che sarebbe a favore del governo, mentre manterrebbe una postura critica con riferimento all’inquilino dell’Alvorada. Complicato, perché si tratta di analisi, che non mette in relazione i due aspetti qui richiamati, in tal modo non cogliendo l’attuale dinamica in atto nella politica brasiliana: un esecutivo impantanato non solo in una agenda di governo, che, sin dall’inizio, appare fragile e contraddittoria (v. alla voce antipetismo), ma che è ancor più fragilizzata dalle molteplici idiozie messe in atto dallo stesso Bolsonaro. Parimenti, tali idiozie e l’agenda, come detto, fragile e contraddittoria, del governo sembrano, da ultimo, chiudersi in un movimento circolare, entro il quale le sparate di Bolsonaro risultano essere funzionali ad una politica che, all’interno del Congresso, di fatto, non ha alcuna articolazione, eccezion fatta per la sciagurata riforma della previdenza. Chagas individua il punto critico all’interno del governo nella sempre più stretta relazione che unisce Bolsonaro (e i figli) al filosofo, o presunto tale, Olavo de Carvalho, bizzarra figura di presunto pensatore che da anni vive negli Stati Uniti. Il generale ritiene che il nostro presidente senza Presidenza non abbia a tutt’oggi compreso lo spessore connesso all’incarico che ricopre.

Bolsonaro e gli olavetes

Non è questione di liturgie di potere, si affretta a precisare, ma di postura e rispetto per l’incarico che si ricopre, questo sì. Tutto al contrario, Bolsonaro presta troppo ascolto a ciò che Chagas definisce col termine “olavetes”, intendendo, maliziosamente, fare riferimento ai vari allievi, o almeno supposti tali, di Olavo de Carvalho presenti nella compagine di governo, oltre, è necessario aggiungere, alle varie truppe cammellate che infestano le reti sociali di hate speech e fake news, due ingredienti, sin dal principio, essenziali all’affermarsi del bolsonarismo. A detta di Chagas, Olavo e i suoi olavetes non hanno alcun progetto e proprio per questo radicalizzerebbero ogni volta il conflitto, sia all’interno che all’esterno (ultimamente, in misura massiccia contro la Cina, tanto per bocca di Eduardo Bolsonaro, alias 03, quanto attraverso il Ministro dell’Educazione, Abraham Weintraub). Coerentemente con la visione fin qui espressa, Chagas aggiunge: “Sicuramente non è una democrazia il loro punto di arrivo”. Si tratta di una affermazione forte almeno quanto cospicua, perché, fors’anche involontariamente, porta alla luce uno degli aspetti più inquietanti sottesi alla dottrina bolsonarista: la refrattarietà al pluralismo democratico ed il sempre reiterato (e reiterabile) tentativo di sovvertimento della democrazia mediante l’induzione del conflitto, ogni volta maggiormente radicalizzato. Di contro a questo progetto vi sarebbero, oggi, le forze armate, che, garantisce Chagas, non hanno alcun interesse politico, ma solo quello di garantire governabilità ed equilibrio ad un Paese, in questo momento, profondamente spaccato in più tronconi. In altre parole, il lavoro degli alti comandi dell’esercito, in questo specifico passaggio storico, consisterebbe nel mediare e porre un argine all’abbraccio mortale tra Bolsonaro e gli olavetes, il suo popolo.

 

flavio bolsonaro

Il popolo, già. Questo sembra essere l’elemento che sfugge del tutto all’analisi di Chagas, il quale, in più di una occasione nel corso di questa intervista, sembra confondere (o voler confondere) moderatismo politico e populismo. Un governo moderato non avrebbe alcuna necessità di mantenere una costante ‘sintonia di affetti’ col proprio popolo, più ancora, un governo moderato non si riconoscerebbe in alcun popolo, bensì governerebbe per tutti i brasiliani intesi come citoyenneté, prima ancora che come popolo. Bolsonaro, al contrario, non può fare a meno del proprio popolo, che ogni volta lo ricambia, mimandone il gesto dell’arma o chiamandolo ‘mito’; men che meno può rinunciare al più rozzo agonismo politico, ad una politica ridotta a torcida, per mezzo della quale preservare la sintonia degli affetti, vera pietra angolare del suo consenso. Laddove tale sintonia venisse a mancare, il suo consenso si scioglierebbe come neve al sole. Il moderatismo politico sognato da Chagas rappresenta il principale nemico di Bolsonaro e del bolsonarismo, perché si fonda su una idea della politica intesa come mediazione, come lenta, delicata e pure macchinosa articolazione da svolgersi all’interno del Congresso secondo un do ut des pressoché inevitabile in un presidenzialismo di coalizione come quello brasiliano. Non resta che aspettare, dunque, fermo restando che assai difficilmente Bolsonaro taglierà il cordone ombelicale che lo lega all’olavismo, ossia a dire alla parte più consistente, in termini di percentuali, del proprio elettorato, mentre, l’esercito, al pari di tutti i Grandi Elettori presenti nel variegato mondo della non-sinistra brasiliana, sembra avere già spostato lo sguardo altrove, alla ricerca di possibili profili candidabili in vista del sempre più imminente 2022. Coronavirus, permettendo, ça va sans dire.

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