La Lega non vuole uscire dall’euro. Parola di Bagnai. Ma cosa vogliono fare all’Europarlamento?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-05

Da quasi due settimane Salvini va in giro a dire che gli italiani hanno votato la Lega perché vada in Europa a chiedere di fare più debito o di usare i soldi degli italiani per finanziare la Flat Tax. Ma di tutto questo nel programma elettorale della Lega per le Europee non c’è traccia. Semplicemente perché quel programma non è mai esistito

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In un’intervista a Bloomberg il senatore Alberto Bagnai, Presidente della Commissione Finanze di Palazzo Madama, ha ribadito un concetto molto semplice: «l’Italia non vuole uscire dall’Unione Europea e la maggioranza dei votanti non vuole uscire». Non solo l’uscita dall’UE (e quindi dall’euro) non è nel contratto ma nemmeno gli italiani hanno votato per uscire. Sappiamo però che i sovranisti e i sovranari leghisti hanno escogitato un simpatico trucchetto linguistico per parlare dell’uscita dall’euro e dalla UE senza nominarla.

La Lega e i no-euro che fingono di non esserlo

Quel giochetto si chiama «ridiscutere tutti i Trattati per tornare di fatto alla Comunità Economia Europea precedente al Trattato di Maastrich». Questo era quello che era scritto nel programma elettorale della Lega per le politiche del 2018. Una frase che – come hanno spiegato i leghisti a più riprese – è un sinonimo per uscire dall’euro. Quel programma però è stato votato dal 17% degli elettori, segno che forse il resto del Paese non lo condivideva.

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Ma ora le cose sono cambiate, dice Salvini da settimane, perché grazie al 34% dei voti conquistati alle europee di maggio la Lega ha finalmente ottenuto il mandato popolare per andare in Europa e chiedere la riforma dei Trattati europei. Non solo: Salvini vuole anche 30 miliardi di debito per finanziare la Flat Tax e già che c’è (era nel programma della Lega del 2018) anche 70 miliardi di euro in minibot di piccolo taglio.

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Non sfuggirà ai più che non solo il 34% non è “la maggioranza degli italiani” nemmeno nei sogni più spinti ma che quei nove milioni di voti non servivano per andare al governo del Paese (Salvini c’è già) ma per andare in Europa. E all’Europarlamento quel grandissimo risultato si traduce (oltre che nell’elezione dei vari Rinaldi, Ceccardi e Donato) in 29 seggi su 751. Ovvero la minoranza.

Ma davvero il programma della Lega è “prima l’Italia”?

Come possa quindi Salvini andare in giro a dire che ora cambieranno le regole europee dall’alto del 7% scarso ottenuto dal suo Eurogruppo parlamentare rimane un mistero. Anche perché per farlo serve l’unanimità. La Lega quindi continua a promettere cose che sa di non poter fare. Un po’ come Antonio Maria Rinaldi che qualche giorno fa ha annunciato che la sua «prima azione politica sarà la richiesta di sfiducia nei confronti di questa Commissione europea».

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Un’altra delle balle che la Lega ha raccontato durante la campagna elettorale è che dopo il rinnovo dell’Europarlamento avremmo avuto quasi immediatamente una nuova Commissione, disposta a guardare con maggiore comprensione la situazione italiana. Ma non solo la Commissione Juncker rimarrà in carica fino a novembre, sorvegliando sul processo di gestazione della seconda Legge di Bilancio gialloverde, ma essendo espressione della maggioranza a Bruxelles difficilmente potrà essere condizionata dai voti di Salvini e del suo gruppo di sovranisti europei (anche perché grandi amici come Orbán lo hanno già scaricato).

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Qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi con quale programma si sono presentati i leghisti alle elezioni europee. La risposta è che al di là degli slogan come “l’Italia rialza la testa” o “prima l’Italia” non c’è nessun programma per le elezioni europee. Sul sito della Lega si trova solo il programma del MENL, il Movimento per un’Europa delle Nazioni e della Libertà, che è il gruppo parlamentare del quale la Lega fa parte dal 2014. Di fatto però più che di programma si dovrebbe parlare di linee programmatiche perché al di là di facili slogan come sovranità, specificità e identità non si trovano misure concrete o proposte che possano essere applicate in modo pratico.

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Sono più che altro riferimenti fumosi ad un’idea di sovranismo assai vaga. E non potrebbe essere altrimenti perché alla fine ogni sovranista è contro il sovranismo altrui. La Lega si è presentata agli elettori parlando di “buonsenso in Europa”, ma in concreto nessuno sa cosa significa. Un po’ come quando Salvini parla di Flat Tax o di aumento dell’Iva senza dare i numeri o dicendo che sarà la BCE a garantire il debito italiano. Eppure Salvini dice di avere il mandato popolare e il suo social megafono Morisi lo incorona Leader dell’Europa dei Popoli. Ma prima o poi gli elettori potrebbero svegliarsi e chiedersi cosa hanno mandato a fare il leghisti a Bruxelles. Perché non c’è una proposta che sia una o una ricetta. Anche quando si parla di “riformare i Trattati” quali parti dei Trattati si intendono modificare e come? Alla fine sembra proprio che gli elettori della Lega abbiano firmato un bel contratto in bianco.

Leggi sull’argomento: Le fantastiche teorie di Francesca Donato su spread e debito pubblico

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