Cultura e scienze
Le dimissioni di Vincenzo D’Anna da presidente dell’Ordine dei Biologi
Alessandro D'Amato 15/03/2020
L’Ordine Nazionale dei Biologi ha annunciato ieri sul suo sito, piuttosto in sordina, le dimissioni di Vincenzo D’Anna dalla carica di presidente. Il testo del comunicato non spiega molto. Le sue ultime dichiarazioni sul Coronavirus invece…
L’Ordine Nazionale dei Biologi ha annunciato ieri sul suo sito, piuttosto in sordina, le dimissioni di Vincenzo D’Anna dalla carica di presidente. Il testo del comunicato non spiega molto sulle motivazioni del gesto, che è sempre piuttosto raro in Italia, rimandando le spiegazioni a una conferenza stampa:
In data odierna il presidente del Consiglio dell’Ordine dei Biologi, Sen. Dr. Vincenzo D’Anna, ha rassegnato le dimissioni dalla carica, con una lettera indirizzata ai Componenti del Consiglio Direttivo, per divergenze sulla linea politica, con particolare riguardo al ruolo ed alla funzione che l’Ente deve svolgere in relazione agli eventi di particolare rilevanza scientifica e sociale. Resterà in seno al Consiglio dell’Ordine per portare a termine il mandato elettorale ricevuto dai colleghi. Nel corso di una Conferenza Stampa, che sarà indetta appena possibile, presenterà il resoconto dei due anni di Presidenza e renderà note le cause della decisione che, è bene ribadirlo, riguardano solo ed esclusivamente l’operatività dell’Ente verso l’esterno ed il rapporto con iscritti ed istituzioni sanitarie.
Le dimissioni di Vincenzo D’Anna da presidente dell’Ordine dei Biologi
Quindi per ora è possibile soltanto ipotizzare i motivi delle sue dimissioni, anche se appare piuttosto evidente che le “divergenze sulla linea politica” annunciate nel breve testo siano collegate a quanto D’Anna in questi giorni va sostenendo riguardo il Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19. Va infatti fatto notare che dal momento in cui l’Ordine ha annunciato le sue dimissioni D’Anna non ha più aggiornato il suo profilo facebook, ma nei giorni scorsi era stato invece piuttosto prolisso nel raccontare le sue idee sul Coronavirus.
In particolare, D’Anna pare essersi assestato su una posizione vicina a quella di Maria Rita Gismondo dell’ospedale Sacco di Milano, di cui si ricorda nelle scorse settimane la querelle con Roberto Burioni e che parlava del Coronavirus come “semplice influenza” (sappiamo che non è così).
D’Anna ha anche condiviso qualche giorno fa un’intervista a Giulio Tarro in cui il virologo sostiene che il Coronavirus sia contagioso ma poco letale e che l’emergenza sia stata scatenata dal panico e dalle scelte politiche. Nei post di D’Anna ci sono spesso commenti e risposte che contestano quello che il presidente dei biologi affermano a proposito delle caratteristiche del virus e della malattia.
Ma ci sono anche interviste come queste in cui D’Anna sostiene che il Coronavirus non è più grave dell’influenza. La verità. come abbiamo spiegato, è leggermente più complicata.
Bisogna intanto chiarire che influenza e Covid-19 sono causati da virus diversi che provocano però una sintomatologia simile. Partiamo da un dato: l’influenza non è una malattia “banale” come precisa l’Istituto Superiore di Sanità alla “banale influenza” e alle sue complicanze vengono attribuiti «mediamente 8000 decessi ogni anno in Italia». Certo, il numero delle persone contagiate è decisamente superiore. I dati della mortalità e del numero delle persone contagiate dall’influenza quest’anno non sono ancora noti. Sono disponibili quelli dei contagiati della stagione influenzale 2018-2019, quando i casi furono 8.104.000. Un dato in linea con il numero dei contagi tra il 2017 e il 2018 che fu di 8.677.000 (nella stagione 2016 – 2017 invece fu di 5.441.000). Si tratta di stime, visto che in molti casi l’influenza ha un decorso tranquillo che non richiede l’intervento del medico.
Perché allarmismi e banalizzazioni fanno male allo stesso modo
Contro l’influenza però abbiamo due vantaggi: il primo è il vaccino il secondo è la terapia specifica. Per Covid-19 invece non abbiamo né l’uno né l’altro, il che senza dubbio complica le cose perché le persone più a rischio (gli anziani, dicono i dati, e coloro che hanno già delle patologie pregresse) non possono mettersi preventivamente al riparto dall’infezione da coronavirus. Questo non significa che dobbiamo farci prendere dal panico. La mortalità di Covid-19 non è quella di Ebola e al momento (ma ricordiamo sempre: i dati di oggi non sono quelli definitivi) al di fuori della Cina sembra essere piuttosto contenuta mentre nella provincia di Hubei è del 2,5%, decisamente più alta di quella della “normale” influenza. Al di fuori dell’Hubei, in Cina, la mortalità da coronavirus secondo l’OMS è dello 0,7%. Ma la letalità non è tutto.
Il dottor Walter Ricciardi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha precisato nei giorni scorsi che Covid-19 «non è come una normale influenza, ha un tasso di letalità più alto. E soprattutto, se non la fermiamo rapidamente, rischia di richiedere un numero di posti di terapia intensiva superiore a quelli che ci sono nei nostri ospedali» ma suggerisce al tempo stesso cautela: «dobbiamo ridimensionare questo grande allarme, che è giusto, da non sottovalutare, ma la malattia va posta nei giusti termini: su 100 persone malate, 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi seri ma gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 per cento muore, peraltro sapete che tutte le persone decedute avevano già delle condizioni gravi di salute».
Questo quello che dicono anche altri specialisti come il dottor Matteo Bassetti Ordinario di Malattie Infettive dell’Università Di Genova che ieri aveva detto che «un soggetto può morire per coronavirus ( ovvero il virus ha contribuito direttamente alla sua morte) o con il coronavirus (il virus è presente ma il suo ruolo non primario nella morte)» e che invita a non fare allarmismo. Oppure la dottoressa Ilaria Capua direttrice del One Health Center della Florida University che in una lettera alla Stampa ha scritto che «l’emergenza sanitaria che stiamo affrontando è una “sindrome simil-influenzale da Coronavirus”. Dobbiamo quindi trattarla come un probabile brutta influenza: Covid-19 è un’infezione che provoca nella maggior parte dei casi sintomi lievi». Ed è stata proprio la dottoressa Capua a proporre di parlare di sindrome simil-influenzale da coronavirus. Ma lo ha fatto anche per dire che il coronavirus potrebbe essere scambiato per una “banale” influenza, quando invece non lo è. Il virologo Guido Silvestri sottolinea invece il dato incoraggiante che viene dalla Cina invitando a non abbassare la guardia in Italia, soprattutto nei confronti di quelle fasce di popolazione più a rischio.
Tutto bene quindi? No, perché c’è anche l’altro lato della medaglia. Come scriveva qualche giorno fa l’epidemiologo dell’Università di Pisa Pier Luigi Lopalco anche ai tempi dell’influenza H1N1 ci fu chi disse che era una “normale influenza” e che il coronavirus è «un virus con tutte le carte in regola per diventare pandemico [secondo l’ex direttore del CDC statunitense lo diventerà NdR] ed è bene capire che tutti gli sforzi possibili a che non lo diventi sono assolutamente giustificati». Tanto più che continuare a minimizzare il problema rischia di rendere più difficile l’opera successiva: convincere le persone che è importante vaccinarsi contro la “banale influenza” o l’eventuale coronavirus. Cosa possiamo fare quindi? Oltre ai soliti consigli di igiene “banale” la cosa migliore è quella di non farsi prendere dal panico e al tempo stesso di mantenere un atteggiamento il più possibile razionale: è una malattia seria, che può avere gravi conseguenze e che può essere scambiata per qualcos’altro complicando la risposta sanitaria e il quadro del paziente. Esattamente come l’influenza: vale a dire nel senso che non deve essere sottovalutata. Ed è questo il problema, quando i medici e gli esperti parlano di influenza sanno che ha delle conseguenze gravi. Quando il cittadino sente il paragone con l’influenza invece pensa a qualcosa che passa da sé, al limite con un paio di compresse di paracetamolo. Ed è su questo doppio significato del termine “influenza” che possono nascere degli equivoci.