Opinioni
Università: cronaca di un disastro annunciato
di Vincenzo Vespri
Pubblicato il 2018-09-27
Sono impegnato in una valutazione di borse di studio. Si nota subito un’asimmetria evidentissima: tantissimi Italiani vogliono recarsi all’estero per fare ricerca. Rarissimi gli stranieri che aspirano a venire in Italia. Chiaramente sintomo di un Paese allo sbando e di un sistema universitario sull’orlo del disastro. Ma come ci siamo arrivati? Il sistema universitario italiano si basava […]
Sono impegnato in una valutazione di borse di studio. Si nota subito un’asimmetria evidentissima: tantissimi Italiani vogliono recarsi all’estero per fare ricerca. Rarissimi gli stranieri che aspirano a venire in Italia. Chiaramente sintomo di un Paese allo sbando e di un sistema universitario sull’orlo del disastro. Ma come ci siamo arrivati? Il sistema universitario italiano si basava sulla veneranda riforma Gentile. Ottima riforma all’epoca ma che presupponeva un’Università di élite. Con la rivoluzione del 68, l’Università cambiò, giustamente, target e mission.La si volle trasformare in Università di massa e pertanto l’impalcatura gentiliana non resse l’urto. Una prima riforma, quella che fu realizzata da una serie di Ministri, da Pedini alla Falcucci, adeguò l’organico universitario all’accresciuto numero di studenti. I docenti universitari, da poche migliaia, divennero ben 48 mila di cui 15 mila Ordinari. L’inflazione di Ordinari disinfestò le aule dai mitici Baroni Universitari che sopravvissero in nicchie quali le cliniche universitarie o le facoltà di Giurisprudenza. Ai giorni di oggi, il Barone Universitario è ormai una leggenda metropolitana esattamente come i coccodrilli nelle fogne di New York e il mostro di Loch Ness ed attribuire a lui il cattivo funzionamento dell’Università ha la stessa base scientifica che attribuire l’autismo al vaccino del morbillo.
Fu Ruberti, Rettore dell’Università di Roma e scienziato di fama internazionale, a tentare di proporre una riforma organica. Ne passò solo una metà. Lui uomo sinistra comunista, fu contestato dagli studenti di Sinistra (il movimento della Pantera). Così, come è tipico in Italia, una riforma organica e tutto sommato ragionevole, fu bloccata da richieste utopiche ed impossibili. Dopo Ruberti, fu Luigi Berlinguer a cimentarsi con la riforma universitaria. Berlinguer era molto diverso da Ruberti: era diventato Professore grazie ad una sanatoria epoteva vantare solo una modesta produzione scientifica (al giorno d’oggi non basterebbe neanche per ottenere un’infima docenza universitaria). La riforma Berlingueriana, a mio parere, fu troppo ambiziosa. Inoltre era contraddittoria perché mescolava aspirazioni populiste, quasi maoiste, con aspetti di vieto aziendalismo. Ma soprattutto fu nefasta perché risvegliò i peggiori istinti predatori della classe accademica: fiorirono corsi di laurea “esotici”, sedi universitarie distaccate e nuove cattedre. L’organico schizzò a 62mila docenti e la filosofia del momento fu quella dei “todos caballeros”. Gli ordinari divennero 22 mila, i costi esplosero, il livello di alcuni docenti si abbassò al di sotto della decenza, il servizio offerto degradò rapidamente. La Controriforma Gelmini fu l’inevitabile reazione allo sfascio universitario. Purtroppo non si limitò a contenere i costi e a ridurre l’organico (siamo ritornati a essere circa 50 mila e gli ordinari sono circa 12mila). Sotto la pressone di una logica confindustriale, aumentò infatti il precariato, rese lo stipendio di noi Professori non competitivo con quello delle altre nazioni Europee, introdusse una nefasta logica aziendalista.
Ma siccome non c’è mai limite al peggio, i successori della Gelmini riuscirono incredibilmente a farla rimpiangere. Non solo introdussero un’asfissiante burocrazia (il Professore ormai passa più tempo a riempire moduli che a fare lezioni o a fare ricerca) ma fecero di tutto per umiliare la categoria. Abbiamo avuto una ministra priva di laurea anzi quasi neanche diplomata e siamo l’unica categoria a cui non siano riconosciuti gli scatti di anzianità, etc etc. Non è stata un sorpresa, se non per Renzi, che il mondo universitario, da sempre serbatoio di voti per la sinistra, alle scorse elezioni abbia voltato le spalle al PD. L’attuale Governo sembra aver capito la necessità di voltare pagina. Preoccupa però che apparentemente M5S e Lega abbiano scelto strategie non convergenti. Il M5S ha nominato come vice-ministro dell’Università Fioramonti che ha fatto tutta la sua carriera fuori dall’Italia. Sarà sicuramente un elemento di forte rottura e cambiamento rispetto allo status quo. La Lega ha nominato come Capo Dipartimento MIUR Valditara. Un professore ben inserito nel sistema, stimato a livello internazionale e con grande esperienza, quindi capace di intervenire con delicatezza in un meccanismo che non può essere né fermato e né rallentato. Il futuro dell’Università dipenderà da quanto queste due personalità così diverse saranno in grado di collaborare. Su questa scommessa si basa la sopravvivenza di un sistema Universitario che, a meno di un miracolo, è ormai prossimo a tirare le cuoia.