Tsipras può riaprire la partita anche se perde il referendum

di Guido Iodice

Pubblicato il 2015-06-29

Il popolo greco, che all’85% non vuole uscire dall’euro, potrebbe votare sì in larga maggioranza. Ma a quel punto il governo potrebbe varare alcune misure e poi dimettersi. Per andare alle elezioni e portare un programma per cancellare l’accordo. E studiare le condizioni per l’addio all’Europa

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E così, alla fine, la strategia di Syriza – porre fine all’austerità rimanendo nell’eurozona – sembra per ora essere fallita. Da un lato un governo che probabilmente non si aspettava una tale durezza da parte dei creditori. Dall’altra, una classe dirigente europea inesistente. E sì, perché provate ad immaginare una situazione simile, diciamo, per un lander tedesco, uno stato degli USA o una regione italiana: impossibile.
 
LA MOSSA DEL CAVALLO
Tsipras si è trovato quindi di fronte ad una impasse dalla quale poteva uscire solo con le ossa rotte: se avesse detto sì ai creditori sarebbe venuto meno all’impegno di far cessare l’austerità, ma soprattutto l’accordo non sarebbe mai passato in parlamento, delegittimandolo e portando la Grecia al collasso istituzionale, politico ed economico; se avesse detto no, questo avrebbe comportato assumersi la responsabilità di aprire la strada all’uscita dalla moneta unica senza alcun paracadute finanziario (se non una vaga promessa dei russi, che però sono noti per rimangiarsi la parola, come nel caso di Cipro e dell’Islanda). La Grecia infatti non avrebbe alcuna possibilità di prosperare fuori dall’euro senza un sostegno finanziario esterno. Tsipras ha quindi scelto l’unica strada che permetterà alla Grecia di non uscire dall’eurozona, ma che potrebbe (e sottolineiamo potrebbe) comunque tenere aperta una (difficilissima) partita: il referendum.
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PERCHÉ VINCERANNO I SÌ
L’esito del referendum è talmente scontato che lo stesso Varoufakis lo ha detto a chiare lettere nell’ultimo eurogruppo a cui ha partecipato, ha spiegato ai sui colleghi che accordare una proroga del programma (e quindi aprire la strada ad un rinnovo della fornitura di emergenza di liquidità da parte della BCE) sarebbe stata semplicemente l’anticipazione di quanto comunque accadrà dopo il 5 luglio. Appello andato a vuoto: non una sorpresa, visto che, come abbiamo detto, i politici europei non riescono a concepirsi come classe dirigente di una unione. A questo punto il popolo greco, che all’85% non vuole uscire dall’euro, voterà sì in larga maggioranza. C’è da biasimarli? Non crediamo. Perché chi studia il comportamento umano sa bene che si tende a privilegiare la sicurezza sull’incertezza, la stabilità sull’instabilità, il noto sull’ignoto. Persino alcune teorie economiche (l’economia comportamentale e la teoria della preferenza per la liquidità di Keynes) sono basate su questo tratto della psicologia umana. I sondaggi condotti sinora, non particolarmente affidabili, va detto, prevedono una vittoria schiacciante dei sì. I no, per ora, non raccolgono neppure la percentuale dei voti di Syiriza alle ultime elezioni, segno di come l’elettorato moderato proveniente dal Pasok, non intende seguire Tsipras fino alla fine. In più i greci sperimenteranno in questa settimana un assaggio di ciò che accadrebbe in caso di vittoria del no e di uscita dall’euro: banche chiuse, bancomat serrati, un’economia senza liquidità. Tutto quindi rema per un’affermazione schiacciante dei sì. Fine di Syriza quindi? Un attimo.
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IL DOPO REFERENDUM
Il 6 luglio sapremo il risultato della consultazione popolare, ma qui assumiamo che vincano i sì all’accordo con la Trojka. A questo punto Tsipras e Varoufakis si recheranno a Bruxelles e firmeranno, a nome del popolo greco, la resa incondizionata alle istituzioni. I partner faranno comunque presente che non si fidano della firma di un governo che ha sostenuto il no. Tornati ad Atene, si troveranno a dover gestire un programma che essi non sono in grado di applicare, con la maggioranza in Parlamento che voterebbe contro ogni legge che tagliasse le pensioni. E’ quindi possibile che il governo greco scelga di varare immediatamente alcune misure di austerità, le meno invise al proprio elettorato, con il voto favorevole dei propri avversari politici, mentre nei limiti del possibile cercherebbe di ritardare l’applicazione delle misure più socialmente sensibili. Fatto ciò, il governo si potrebbe dimettere e convocare le elezioni per l’autunno. A questo punto, Syriza si presenterebbe con un programma in cui propone di cancellare l’applicazione dell’accordo, costi quel che costi e nel frattempo studiare le condizioni per un’eventuale uscita dall’euro, anche al costo di vendere tutti i “gioielli di famiglia” a russi e cinesi (cosa che comunque dovrebbe fare per rispettare il programma dei aiuti della Troika). Nei mesi da qui alle elezioni, i greci si potrebbero così accorgere che, anche se i bancomat riaprono e i loro conti correnti vengono sbloccati, i loro soldi finiscono in IVA e altre tasse. E saprebbero di avere una spada di Damocle sulla testa: l’applicazione integrale dell’accordo proposto dalla Trojka dal giorno dopo le elezioni.
 
UNA PARTITA A POKER CON GLI ELETTORI
Quella delineata è, evidentemente, una (cinica) partita a poker con il popolo greco che Syriza potrebbe perdere, come ha perso quella con i creditori. Potrebbe funzionare? Nonostante tutto, Syriza è ancora in testa nei sondaggi, con percentuali ampie rispetto al Nuova Democrazia e i suoi possibili alleati. Il percorso qui ipotizzato è strettissimo e rischioso, e la Trojka potrebbe in parte o in tutto boicottarlo. Ma oggi è troppo presto per dire se la partita di Tsipras e Varoufakis si chiuderà davvero il 6 luglio. Certo è che se il “no” ottenesse percentuali migliori rispetto a quelle dei sondaggi condotti sinora, ciò rafforzerebbe Syriza e il compimento di un azzardo politico simile a quello che qui abbiamo ipotizzato. C’è da sperare quindi che il popolo greco sia dimostri da subito meno pauroso di quanto si possa oggi prevedere.
 

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