Lo stop di Reggio Calabria al 5G (potrebbe non durare molto)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-07-06

Il sindaco Falcomatà è l’ultimo a schierarsi contro le antenne in nome del principio di precauzione e “in attesa che gli studi scientifici fughino ogni dubbio”. Ma il governo con un comma nel decreto semplificazioni potrebbe fermare gli stop a breve

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“Ho firmato l’ordinanza con la quale sospendo l’installazione delle antenne 5G in città. L’ho fatto per tutelare la salute di tutti noi. Ad oggi non esistono certezze rispetto agli effetti che questa nuova tecnologia ha sulle persone”: in una nota il sindaco del Partito Democratico di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà annuncia la svolta antitecnologica della città: “Nelle scorse settimane l’Amministrazione comunale ha avviato degli incontri con l’Università Mediterranea e con l’ordine dei medici. Questi incontri continueranno nei prossimi giorni e saranno estesi anche alle associazioni e i comitati con cui ho già avuto modo di confrontarmi”. “Naturalmente se gli studi scientifici dovessero sciogliere ogni dubbio – ha concluso il sindaco di Reggio Calabria – accoglieremo consapevolmente questa nuova tecnologia, ma intanto, nell’incertezza, per quanto mi riguarda, la salute dei miei concittadini va messa sempre al primo posto”.

Lo stop di Reggio Calabria al 5G

Falcomatà è soltanto l’ultimo di una serie di primi cittadini che in questi mesi stanno fermando ordinanze per fermare l’installazione delle antenne 5g: ad esempio ad aprile anche il primo cittadino di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna ha firmato una moratoria fino al 2021. “Abbiamo quindi fatto riferimento al principio di precauzione, articolo 191 del trattato sul Funzionamento Unione Europea, sull’approccio della gestione del rischio – disse all’epoca – se vi è la possibilità che un’azione possa danneggiare persone o ambienti, e se non c’è consenso scientifico, la politica non deve essere perseguita. Solo in un secondo momento, con le indicazioni della comunità scientifica alla mano, si valuterà se procedere. In questo caso manca manca uno studio a medio-lungo termine”. Altro riferimento in questo senso è la Legge nazionale n.36 del 22 febbraio 2001 che contempla il principio di precauzione. “Tra l’altro – continua il sindaco di Grosseto – abbiamo ricevuto richieste di cautela da diverse associazioni, come ‘Atto primo: salute, ambiente e cultura’, l’associazione A.m.i.c.a e il Coordinamento nazionale nuove antenne”.

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Di solito quando i sindaci vietano il 5G si rifanno a uno studio del Ramazzini che è l’unico studio che viene citato quando si parla di 5G. Si tratta di una ricerca condotta su oltre duemila topi che sono stati esposti alle radiazioni per 19 ore al giornoIn un’intervista a Il Salvagente la dottoressa Fiorella Belpoggi (che ha diretto l’area di ricerca) spiegava che l’obiettivo non è quello di arrivare ad una messa al bando della tecnologia ma di chiedere all’industria di individuare dei metodi (la dottoressa parla dell’uso degli auricolari come sistema per evitare un’eccessiva esposizione) per salvaguardare la salute. Qualche tempo fa la dottoressa Belpoggi – che è stata ascoltata in Commissione a Montecitorio faceva sapere che «l’Istituto Ramazzini ha ancora in essere l’apparato espositivo utilizzato per studiare le frequenze del 3G, facilmente adattabili al 5G»

L’emendamento del governo sul 5G

Nemmeno il Ramazzini quindi ha condotto uno studio sul 5G ma unicamente uno sulla tecnologia più vecchia, il 3G (oggi lo standard è il 4G). Alla Stampa la dottoressa Belpoggi ricorda che gli studi sono fermi al 3G e che per il momento le uniche evidenze scientifiche sono quelle di alcuni studi condotti sui ratti. “Il 5G ha una frequenza diversa dal 3G?”, chiede l’intervistatore, la ricercatrice risponde in un modo che dire convincente è un eufemismo: «è più alta, lei pensi che dopo questa c’è quella della luce che è sicuramente innocua altrimenti ci saremmo già estinti».Ma non è esattamente così perché proprio la IARC – che ha inserito i campi elettromagnetici a bassa frequenza nell’elenco delle sostanze “possibilmente cancerogene” – ha inserito la luce del sole (o meglio la radiazione ultravioletta) tra i carcinogeni sicuri per l’uomo, visto che contribuisce alla formazione dei tumori della pelle. Non ha però vietato di esporsi alla luce solare, ma di farlo con moderazione. Il dosaggio – e quindi l’esposizione – è tutto, anche per il 3G o il 5G. «Oggi non possiamo affermare che il 5G sia cancerogeno, ma nemmeno che non lo sia», conclude la dottoressa Belpoggi. Certo, non si capisce come mai a questo punto non si faccia una battaglia anche contro il 4G e il 3G.

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Isabella Conti alla Leopolda, credits: Agenzia Vista via YouTube

Ma nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore ha scritto che il governo è pronto a bloccare il fronte anti 5G con un comma infilato nell’ultima bozza del decreto semplificazioni, grazie al quale viene corretta la legge del 2001 sulla protezione dall’elettromagnetismo.

Quella legge, all’articolo 8, al momento dispone che i Comuni possano «adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici». Se la bozza del nuovo Dl sarà confermata, però, i sindaci potranno farlo esclusivamente «con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico». E, comunque, scatta il divieto per i Comuni di «introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate» di stazioni radio base per la telefonia mobile e di incidere sui limiti di esposizione elettromagnetica o sui valori di attenzione.

Una risposta netta al movimento delle amministrazioni che si oppongono all’installazione delle antenne per il servizio 5G paventando ipotetici danni perla salute che al momento non hanno trovato riscontri nella maggior parte della comunità scientifica. Per facilitare l’implementazione della rete 5G viene anche abrogato l’obbligo per gli operatori tic di fornire, per ogni stazione radioelettrica, un documento di esercizio contenente i dati tecnici significativi.

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