Cultura e scienze

Settant’anni di Tex

di Maurizio Stefanini

Pubblicato il 2018-09-30

Lo avete notato? Tex e Zagor non sono solo le due generazioni della famiglia Bonelli, ma anche l’evoluzione precisa della dottrina di impiego della Nato. Apparso nell’era di Truman, Tex è la rappresaglia massiccia. Il 1948 era l’anno i cui gli italiani, ammaestrati dal disastro cui aveva portato la sbornia nazionalistica, fecero la grande scelta di civiltà tra il modello liberale degli Stati Uniti e quello totalitario dell’Unione Sovietica. Una scelta non solo politica, come dimostrò il voto del 18 aprile, ma anche culturale.

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È il 30 settembre del 1948, ma la vicenda è ambientata almeno un’ottantina di anni prima. “In una della gole selvagge del Rainbow Canyon, Tex Willer sta bivaccando dopo la lunga galoppata che lo ha portato oltre i confini del Texas, quando, improvvisamente, alcuni spari echeggiano a non molta distanza”, dice la prima didascalia davanti alla figura molto stilizzata di un cow boy dal volto affilato con pantaloni scurissimi e stivaletti che tira fuori dalla fondina due pistole, mentre un cavallo lo guarda da dietro. “Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?”, dice sullo sfondo di una montagna pelata. Vignetta successiva, lo vediamo in ginocchio mentre guarda al binocolo un gruppo di cavalieri in un nugolo di polvere. “Ah… eccoli… vengono dalla prateria … e non è lo sceriffo con i suoi scagnozzi”. E così via, per settant’anni. Col titolo Il totem misterioso  è questo infatti l’inizio dell’epopea di Tex Willer. Che in origine doveva chiamarsi Tex Killer, e che comunque non è ancora il ranger difensore degli indiani che diventerà. Col tempo scopriremo che suo padre, Ken Willer, aveva un piccolo ranch “circa tre miglia a est di Rock Springs, nel sud del Texas, poco lojntano dalle sorgenti del Nueces” dove lavorava insieme al fratello Sam e al vecchio Gunny, che gli ha insegnato “un sacco di trucchi per estrarre la pistola e sparare svelto e bene”. Messosi nei guai con la giustizia per essersi vendicato a suo modo della morte del fratello, Tex sarà preso riabilitato e in settant’anni avrà modo di segnalarsi come il più efficace “raddrizzatorti” del West. Settant’anni ora celebrati anche da una mostra.

Settant’anni di Tex

“Collana del Tex N°1 – Pagine 36” si presenta quell’albo a striscia del 30 settembre 1948, dal costo di 15 lire. Sceneggiatore è Gian Luigi Bonelli: un milanese ex-pugile che attorno a quel personaggio fonderà la casa editrice più importante di tutto il fumetto italiano. Disegnatore è Aurelio Galleppini: un toscano di origine sarda che si firma Galep. Bonelli si considera “un romanziere prestato al fumetto e mai più restituito”, e dice di essersi ispirato al grande romanzo avventuroso d’appendice di autori quali Alexandre Dumas, Jack London, Donn Byrne, Victor Hugo ed Emilio Salgari. Ma ha inventato una tecnica di “sceneggiature disegnate” che abbozza una successione di tavole in stile storyboard. Quando nel 1985 provarono a fare un film su Tex, per la verità non con troppo successo, recitò nel ruolo dello stregone che introduceva e terminava la storia. L’autore di queste note ha conosciuto Galep, che gli spiegò come quella specie di fazzolletto-cravatta che appare attorno al collo di Tex era fatto a quel modo per poter essere realizzato con un solo tratto. Disse anche che Tex in realtà è nel volto Gary Cooper, più alcuni tratti dello stesso Galep che lui guardava in uno specchio quando doveva disegnare primi piani. Non ho mai parlato invece con Gian Luigi Bonelli, ma sì invece con suo figlio Sergio, creatore di Zagor e di Mister No. Una volta mi chiamò a casa, per complimentarsi per un mio articolo sui suoi personaggi. E fu Sergio a spiegarmi: “Zagor sono io: ha il mio carattere. Tex è invece mio padre: ha il suo carattere”. Da una parte un mediatore che quando c’è bisogno della forza agisce in modo graduale: prima le parole: poi i cazzotti; poi la parte smussata della scure; poi quella tagliente; solo per ultimo la pistola. Tex. Invece, spara subito, e anzi di pistole ne ha due.

foto da youtube

Lo avete notato? Tex e Zagor non sono solo le due generazioni della famiglia Bonelli, ma anche l’evoluzione precisa della dottrina di impiego della Nato. Apparso nell’era di Truman, Tex è la rappresaglia massiccia. La minaccia di bombardamento nucleare immediato al primo segnale di aggressione dell’Urss, che tanto all’epoca in cui le bombe atomiche le portavano i bombardieri non avrebbe mai potuto colpire il territorio degli Stati Uniti, e al massimo avrebbe potuto provare a sommergere l’Europa Occidentale con la superiorità delle sue forze convenzionali. Apparso nell’anno dell’arrivo di Kennedy alla Casa Bianca, Zagor è la risposta flessibile. Dopo che lo Sputnik ha dato ai comunisti la possibilità di colpire anche loro nel cuore dell’America, la necessità di dosare l’esatta risposta da dare passo per passo. Armi convenzionali a armi convenzionali, armi nucleari tattiche a rami nucleari tattiche, armi nucleari strategiche a armi nucleari strategiche. Ovviamente c’è anche l’evoluzione dei gusti e la crisi del western classico. Dal punto di vista tematico, Zagor  si apre a generi diversi, contaminando il western stesso con horror, fantascienza, giallo, avventura pure, perfino il comico. Elemento quest’ultimo fortissimo nella “spalla” Cico. Dal punto di vista ideologico, Zagor dopo una partenza tutto sommato abbastanza classica dove gli indiani sono abbastanza cattivi fa prestissimo a diventare un loro difensore, anche se tutto sommato mai manicheo. Ma se per questo anche Tex ha poi fatto lo stesso percorso. Non a caso è poi divenuto per i navajo capo Aquila della Notte, e tra i suoi tre “pards” accanto allo storicamente esistito Kit Carson ci sono il figlio meticcio Kit e l’indiano puro Tiger Jack. Non a caso il “vilain” più formidabile di questi settant’anni è rimasto il demoniaco Mefisto.

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Poi il percorso della Bonelli andò avanti, con Mister No venne un personaggio che provava a creare un nuovo western nell’Amazzonia degli anni ’50, e con Martin Mystère e Dylan Dog uscì proprio dal West. Ultimamente poi sta anche superando lo storico approccio americanocentrico dei suoi personaggi, e sempre più spesso vi appaiono anche italiani. Era italiano quel detective Napoleone che uscì tra 1997 e 2006. È italiano quell’altro detective Mercurio Loi che dal 2017 fa indagini nella Roma di Giuseppe Gioacchino Belli. Era italiano l’Ugo Pastore pistolero infallibile e giovane sensibile protagonista tra 2007 e 2008 della serie Volto Nascosto sulla battaglia di Adua e tra 2011 e 2013 dell’altra serie Shanghai Devil sulla Rivolta dei Boxers. È zeppa di personaggi storici la serie sulle Storie di Altrove: immaginario Servizio Usa di sorveglianza del paranormale per cui si immagina che nei suoi quasi due secoli e mezzo di storia abbiano collaborato tra gli altri Giuseppe Garibaldi, Antonio Meucci, Giuseppe Verdi. Gabriele D’Annunzio. Un po’, insomma, il sovranismo sta facendo breccia anche nel fumetto. Ma il 1948 era invece l’anno i cui gli italiani, ammaestrati dal disastro cui aveva portato la sbornia nazionalistica, fecero la grande scelta di civiltà tra il modello liberale degli Stati Uniti e quello totalitario dell’Unione Sovietica. Una scelta non solo politica, come dimostrò il voto del 18 aprile, ma anche culturale. E tre furono in particolare le testate che dimostravano questa volontà di schierarci con l’ideologia dell’America fino a farla nostra. La più appariscente, al momento, fu l’apparizione di Selezione dal Reader’s Digest: dall’ottobre del 1948, edizione italiana di una rivista che in anni più recenti è entrata in crisi e nel 2007 ha infine da noi chiuso, ma che per tanti anni rappresentò un formidabile veicolo di valori e idee. Per ottimizzare i macchinari comprati per stampare Selezione la Mondadori decise però di adottare lo stesso formato anche per Topolino . In realtà i personaggi disneyani erano già stati pubblicati da Nerbini tra 1932 e 1935 e poi dalla Mondadori stessa fino al 1949. Ma nella nuova versione diventerà anch’essa una componente fondamentale della formazione dei bambini italiani: e una formazione appunto americaneggiante, ancorché basata sempre più su autori italiani. Oggi si rimpiange la lira, ma già Paperone i suoi bagni li faceva nei dollari. Ma prima ancora di Selezione e Paperino era appunto venuto Tex. Con le sue bistecche alte tre dita coperte da una montagna di patatine. Con le pallottole che quando lo prendono non è mai “niente di grave solo un colpo di striscio”. Con “quello che non sugli Indiani che”, come spiega Kit Carson, “può essere scritto comodamente sul retro di un francobollo”. Buon compleanno, Tex!

(foto di copertina da qui)

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