I prefetti avvertono Salvini: “Se è guerra, porti aperti”

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-04-13

La direttiva che li chiude emanata dal Viminale dovrebbe, nel caso, essere sospesa

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Come volevasi dimostrare. Se la crisi libica sfociasse in una dimensione di massa, l’Italia dovrebbe aprire i porti: lo hanno spiegato ieri i prefetti al ministro dell’Interno Matteo Salvini, sottolineando che la direttiva che li chiude emanata dal Viminale dovrebbe, nel caso, essere sospesa. Lo racconta oggi Francesco Grignetti sulla Stampa:

I prefetti del ministero dell’Interno hanno messo in fila le novità e hanno dovuto mettere in guardia il ministro. Primo segnale: all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi, è stato chiaro. «La dichiarazione di una zona Search And Rescue libica, avvenuta nel 2017 disse Salvi – non fa venire meno l’obbligo delle nazioni delle SAR vicine, innanzitutto Italia e Malta, di salvare le persone in pericolo, anche in zone di non diretta attribuzione, coordinando gli sforzi dei soccorsi e intervenendo direttamente, se del caso».

L’obbligo di intervenire in mare resta dunque un obbligo, pena un intervento della magistratura italiana e in prospettiva anche una sanzione da parte della Corte dei diritti dell’Uomo. E se Salvini sperava in cuor suo di assistere a una progressiva stabilizzazione, un virtuoso processo di pace, quindi alla fine un governo saldo e anche un maggiore coinvolgimento delle agenzie delle Nazioni Unite, beh, le cose stanno andando in direzione opposta. Secondo segnale: il 5 aprile, da Ginevra è arrivata una dichiarazione ufficiale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni in cui si «esprime preoccupazione per la popolazione civile e i migranti tenuti in detenzione in Libia, mentre convogli militari si avvicinano alla capitale Tripoli».

Dichiarava il direttore generale dell’Oim, António Vitorino: «La sicurezza dei migranti detenuti diventerebbe una questione cruciale se dovesse verificarsi un’escalation dell’azione militare. La Libia non è un luogo sicuro dove riportare i migranti che hanno tentato senza successo di raggiungere l’Europa».

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