Salvini e lo sconto sull’IVA che gli farà l’Europa (se lo votiamo)

di dipocheparole

Pubblicato il 2019-04-29

È andata bene, benissimo con le accise. Sta andando ancora meglio con i clandestini ridotti a 90mila dai 600mila che erano in campagna elettorale. E allora Matteo Salvini tenta il barbatrucco finale alle elezioni europee: nell’intervista di ieri a La Stampa ha sostenuto che “dopo le elezioni nessuno ci verrà a chiedere i 23 miliardi“ …

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È andata bene, benissimo con le accise. Sta andando ancora meglio con i clandestini ridotti a 90mila dai 600mila che erano in campagna elettorale. E allora Matteo Salvini tenta il barbatrucco finale alle elezioni europee: nell’intervista di ieri a La Stampa ha sostenuto che “dopo le elezioni nessuno ci verrà a chiedere i 23 miliardi già impegnati in clausole di salvaguardia dal suo governo (quello di Conte e Tria, ad essere precisi).

salvini sconto iva

Naturalmente si tratta di una balla. Che si fonda proprio sullo scenario immaginato da Salvini: quando l’Italia tentò di difendere la sua scelta di fissare il deficit a quota 2,6% del Pil, furono proprio i paesi del Gruppo di Visegrad e l’Austria – teoricamente quelli più vicini a Salvini – a manifestare la maggiore ostilità nei nostri confronti. La Lega è alleata con loro: una grande vittoria come quella immaginata dal Carroccio porterà in Parlamento più teorici dell’austerity (altrui) rispetto a prima.

E se non bastasse, oggi l’economista Leonello Tronti sulla Stampa spiega perché Salvini ha torto anche nel merito:

«Primo, perché oggi allo stato non c’è una visione di politica economica alternativa a quella vigente condivisa. La bocciatura del fiscal compact da parte della Commissione Economia e Finanza dell’Europarlamento non ha prodotto una reazione politica significativa, nemmeno dell’Italia».

E sul fronte economico?
«La situazione economica dell’Italia è difficile, e non è paragonabile a quella della Francia, che pure ha seri problemi. Quando l’Eurogruppo richiama l’Italia a un rigore maggiore di quanto non venga richiesto alla Francia, lo fa in base a fattori molto concreti. Anzitutto per il livello del debito: il debito pubblico francese è ancora al di sotto del 100% del Pil, il nostro supera il 130%. In secondo luogo, perché la differenza è visibile nello spread dei titoli pubblici, che rispecchia la differenza di credibilità tra i sistemi economici. Una differenza di fiducia non del tutto giustificata, direi, che non meritiamo; ma intanto lo spread della Francia viaggia intorno a 26 punti base, il nostro è dieci volte superiore. Abbiamo una minore libertà di utilizzo del disavanzo e del deficit. E il fatto che con i governi Renzi e Gentiloni, per attivare maggiori investimenti pubblici, si siano ottenuti maggiori margini di flessibilità senza però realizzare gli investimenti, ha inciso sulla nostra credibilità».

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