Il grande business dei test sierologici (e le verità che non vi raccontano)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-05

Il chimico Giuseppe Cardillo spiega a neXtQuotidiano perché la corsa ai test sierologici tra Regioni e governo sembra una gara a chi prende la fetta più grossa della torta. E perché così si rischia di finire molto male

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Tutti la ricorderanno perché ha segnato l’inizio della Fase 2, ma la data del 4 maggio nella storia dell’emergenza Coronavirus è importante anche perché è il giorno in cui i test sierologici sono arrivati in un campione di laboratori scelto da Istat e Inail che deve verificare (gratuitamente, cioè paga lo Stato) se 150mila italiani sono venuti in contatto con il virus e hanno sviluppato l’immunità. Non solo: intanto le Regioni hanno comprato un totale di quattro milioni di test con lo stesso obiettivo. Per chi produce e vende gli esami si annunciano buoni affari, visto che un kit può costare, a seconda delle tipologie, tra 4 e 7 euro alle Regioni e tra 25 e 50 ai privati cittadini. C’è un un problema, però: i test sierologici non sono per niente in grado di dare le cosiddette patenti di immunità. Ovvero di poter dire con certezza che chi li ha fatti è immune a SARS-CoV-2.

Cosa sono i test sierologici e quanto ci vogliono mangiare

Partiamo dall’inizio. Gli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi non sostituiscono il test del tampone, il cui scopo è stabilire se una persona ha il virus in quel momento (pur con margini di errore) e viene eseguito cercando il suo RNA nelle cellule e secrezioni del naso o della gola. I cosiddetti test sierologici invece si effettuano sul sangue e servono a stabilire se una persona ha fabbricato anticorpi contro il virus SARS-CoV-2, nel qual caso significa che è venuto in contatto con esso in un passato più o meno recente. Gli anticorpi che si vanno a cercare sono essenzialmente di due tipi: IgM (Immunoglobuline M) e IgG (Immunoglobuline G). Le IgM vengono prodotte per prime in ordine di tempo dopo che è avvenuta l’infezione, le IgG successivamente.

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La Repubblica ha ricordato che sono ben 72 le aziende che si sono presentate al bando del commissario straordinario Arcuri per l’acquisto dei 150 mila esami per lo studio nazionale. La gara è stata vinta dalla statunitense Abbott che ha deciso di regalare i test e ha poi subito annunciato di averne a disposizione altri 4 milioni per l’Italia, ma a pagamento. Poi ci sono le Regioni. La Lombardia comprerà 500 mila test dalla Diasorin, che ha sviluppato il suo test in collaborazione con il San Matteo di Pavia. La Toscana ne prenderà altrettanti da un’azienda senese, la Diesse. L’Emilia prevede di usarne intanto 300 mila e deve ancora decidere dove acquistarli, così come il Lazio, che ha chiuso la gara. La Campania, infine, ha detto di voler acquistare 350 mila nuovi test. In tutto saranno ampiamente superati i 2 milioni di kit. Nelle gare pubbliche spuntano prezzi tra i 4 e i 12 euro. E il punto è tutto qui: «La domanda è: sono veramente interessati all’affidabilità del test o piuttosto a quanto ci si possa guadagnare? Perché mi sembra che si faccia la gara a chi prenda la fetta più grossa della torta», dice Giuseppe Cardillo, chimico e con dottorato di ricerca in scienze biotecnologiche conseguito all’università Federico II di Napoli, con oltre 20 anni di esperienza nel settore della biochimica clinica e della biologia molecolare clinica.

Un singolo test sierologico non serve niente, tanti quanto costano?

Perché, a differenza di quello che circola nelle discussioni della politica riguardo i test sierologici, forse a chi governa regioni e amministra ministeri non è chiaro che non si potrà fare un test con una goccia di sangue in cinque minuti, ricevere il proprio tesserino di sano come un pesce e finirla lì: «Il nuovo coronavirus prima di stimolare la risposta immunitaria ci mette qualche giorno. Nel caso di SARS-CoV-2 la prima risposta sulle IgM si ha dopo almeno 7-9 giorni. Questo significa che se mi infetto e faccio il test prima di quel tempo, il test è negativo. Se, invece, ho solo le IgM sono sicuramente ancora infettivo. Quindi la procedura minima dovrebbe essere quella di fare il test e poi ripeterlo dopo dieci giorni. Non solo: uno studio pubblicato su Nature ci dice che tutti gli infetti hanno una risposta immunitaria, quindi adesso sappiamo che tutti producono le IgG, che si formano dopo quindici giorni. Ma un test positivo non mi dice se il soggetto si è infettato 15 giorni fa o 60 giorni fa. Quindi dopo le IgG dovrei fare i tamponi di controllo. La risposta immunologica non ha niente a che vedere con la contagiosità. Mi meraviglio che nessuno di chi propone un “salvacondotto” immunologico abbia valutato questo aspetto», spiega Cardillo. E non finisce qui: «Con questo stramaledetto virus, l’85% degli infetti è asintomatico, non sa nemmeno di avercelo. A complicare le cose, uno studio di Lancet ci avvisa che circa un quarto dei pazienti sviluppa le IgG prima delle IgM, probabilmente perché il sistema immunitario si “ricorda” di uno dei 4 coronavirus che normalmente ci provocano le sindromi para-influenzali. Poi c’è il problema della localizzazione: nella prima fase della malattia il virus si trova nel cavo orofaringeo, successivamente trasloca nei polmoni. Posso essere malato ed avere tampone negativo. Diversi malati in terapia intensiva sono rimasti negativi anche per 3 tamponi consecutivi perché il virus era annidato profondamente nei bronchi. Come faccio ad avere un golden standard? Una idea proposta è quella di utilizzare il tampone rettale, visto che la gente espelle il virus anche nei 40 giorni successivi alla guarigione».

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«Un altro problema è quello della privacy. Ci viene detto che se una persona fa un test sierologico in un laboratorio ed è positiva, il laboratorio ha l’obbligo di segnalare il paziente all’ASL. A parte tutti i problemi legali che ciò comporta, non ci è dato di sapere come comunicare con l’ASL. Per telefono? A quale numero? Su una piattaforma digitale? Con che standard di sicurezza? Io posso consigliare di andare dal medico di base in caso di positività ma poi la responsabilità è del paziente». C’è poi una questione scientifica da non sottovalutare: «Solo il Padreterno non mente mai: i test di laboratorio hanno falsi negativi e falsi positivi. Può dipendere dal fatto che il test è stato costruito male, da un errore in fase pre-analitica, dalle caratteristiche della malattia, da caratteristiche intrinseche del paziente. La possibilità di errore c’è e va considerata». E quindi, rispetto a come è stata finora raccontata, la questione della patente di immunità è leggermente più complessa: «Si può dare una patente di immunità a patto che, se io trovo uno con le IgG, deve avere almeno tre tamponi negativi. Quello che ha le IgM positive è infettivo, ma quello che ha solo le IgG? Il paziente sieronegativo? Non ha mai visto il virus o lo sta ancora incubando? Ripeto il test tra 1 settimana e quante volte lo devo ripetere? Se decido di farne solo 2 e il paziente si è infettato 2 giorni prima della seconda ripetizione? Se io pretendo di dare una patente con un semplice test sierologico sto facendo una fesseria. Lo scopo dei test è solo quello di identificare la grande marea di soggetti asintomatici o pauci-sintomatici».

La corsa ai test prossima ventura

L’emergenza Coronavirus in Italia e nel mondo non finirà nemmeno quando finirà il lockdown. E possiamo quindi immaginare una corsa ai test sierologici per motivi di salute sì, ma anche di lavoro. Già da oggi i cittadini in Piemonte possono rivolgersi ai laboratori privati per comprarli. Partono questa settimana nel Lazio 300mila test sierologici su operatori sanitari, Rsa, forze dell’ordine e farmacisti. Repubblica ha scritto il 4 maggio che la Lombardia, che aveva già dato il via agli stessi kit considerati meno attendibili, farà una delibera che consente ai laboratori privati di eseguire i sierologici. Il governatore campano De Luca è stato l’ultimo a cedere, dopo un braccio di ferro con i laboratori. Utilizzano i privati, magari dopo accordi con le Regioni, centinaia di aziende che vogliono fare i test ai propri dipendenti prima di farli rientrare al lavoro.

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Anche la Regione Campania ha acquistato un milione di kit per i test sul Coronavirus da TechnoGenetics, azienda di Lodi di recente acquisita dai cinesi a un prezzo che varia dai 6 ai 9 euro ciascuno. Tutto questo mentre l’Associazione Italiana di Epidemiologia scrive che «non esiste in questo momento alcuna certezza nell’usare i testi sierologici (tantomeno quelli commerciali esistenti) a fini diagnostici individuali o per ‘certificati di immunità’, dato che non c’è consenso circa il tipo di anticorpi che vengono identificati nei diversi test né sulla loro capacità di svolgere un ruolo protettivo dall’infezione virale». E mentre a muoversi saranno anche i tribunali. Proprio TechnoGenetics ha annunciato un ricorso al Tar della Lombardia contro la decisione della Regione di affidare direttamente alla concorrente di Vercelli Diasorin la sperimentazione a livello regionale dopo la certificazione dei test di quest’ultima da parte del Policlinico San Matteo di Pavia.

TechnoGenetics ricorda che il 20 marzo aveva offerto 20mila test rapidi convalidati da uno studio italiano ma che non sarebbero stati presi in considerazione in quanto il dirigente del San Matteo Fausto Baldanti, consulente di riferimento per la Regione Lombardia, sosteneva non fossero affidabili.

I legali dell’azienda lodigiana ritengono dunque l’illegittimità dell’accordo tra San Matteo, Diasorin e Regione Lombardiadel 26 marzo, peraltro per un prodotto che ancora non esiste ma che blocca le sperimentazioni alternative. La TecnoGenetics sottolinea come le ricerche del San Matteo dovrebbero essere aperte a tutte le aziende. (Il Sole 24 Ore, 16 aprile 2020)

L’emergenza Coronavirus ha creato un nuovo mercato sanitario e nel mercato, si sa, c’è chi compra e c’è chi vende. In questo chi acquista ha anche il “privilegio” di non spendere i suoi soldi, ma quelli dei cittadini. E la possibilità di non sapere che quello che gli stanno vendendo (o peggio: che stanno vendendo ai cittadini con la benedizione delle istituzioni) non è una Ferrari, ma una 500. Si dice che “tutte le mattine escono di casa un furbo e un coglione. Se si incontrano l’affare è fatto”. Pensate se s’incontrano al mercato.

foto copertina via twitter

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