Perché Ventura non si è dimesso (e perché Tavecchio non se ne andrà)

di Mario Neri

Pubblicato il 2017-11-16

Aveva 800mila buone ragioni per non farlo. Tavecchio ne ha di più per rimanere al suo posto

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Gian Piero Ventura non si è dimesso perché così funziona il calcio. Gli allenatori in caso di dimissioni devono rinunciare, ovviamente, al compenso che hanno accordato con il datore di lavoro, e questo vale anche per la Nazionale italiana. Per questo ha deciso di farsi cacciare formalmente dalla Federazione Italiana Gioco Calcio , ovvero di farsi sollevare dall’incarico, cosa che gli permetterà di continuare a prendere lo stipendio fino alla scadenza del contratto. Spiega oggi la Gazzetta dello Sport:

Ventura non ha fatto un euro di sconto alla Figc, riceverà tutti gli stipendi che gli spettano da qui al 30 giugno 2018, data di scadenza del suo primo contratto (il rinnovo fino al 2020 è decaduto con la mancata qualificazione al Mondiale, grazie alla clausola-paracadute legata a Russia 2018). Alla Federcalcio gli ultimi mesi di Ventura costeranno circa un milione e mezzo di euro lordi.
L’ex c.t. si metterà in tasca più o meno 750-800mila euro netti. Andare al contenzioso non avrebbe avuto senso, i legali di Ventura avrebbero stravinto la causa, forti dell’accordo nero su bianco. In ambito federale speravano che martedì in giornata, passata la nottataccia dell’eliminazione, Ventura compisse il bel gesto delle dimissioni. Non è stato così e a Roma ci sono rimasti un po’ male. Ogni uomo è un’isola a sé. Cesare Prandelli in Brasile, nel 2014, si dimise un attimo dopo la sconfitta con l’Uruguay. Ventura ha scelto diversamente. Esonero anche per i più stretti collaboratori dell’ex c.t.: il vice-allenatore Salvatore Sullo, il preparatore Alessandro Innocenti e il collaboratore Giuseppe Zinetti.

esonero gian piero ventura
E non finisce mica qui. Perché ieri il CONI tramite Malagò e il governo tramite il ministro dello Sport Lotti hanno più o meno elegantemente chiesto a Carlo Tavecchio di lasciare l’incarico. Cosa che lui non ha fatto nonostante anche Damiano Tommaso, presidente dell’AssoCalciatori, una delle componenti che elegge il presidente federale, glielo abbia rumorosamente chiesto. Perché ha deciso di resistere? Ebbene, il presidente della Federcalcio viene eletto da società di Lega Serie A, Lega Serie B, Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti, di Associazione italiana calciatori, Associazione italiana allenatori e Associazione italiana arbitri, che votano secondo pesi ponderati. Nel marzo scorso Tavecchio ha sconfitto Andrea Abodi ottenendo il 54,03% dei voti contro il 45,97% del rivale. Questo perché ha ricevuto l’appoggio totale della B, della Lega Pro, dei Dilettanti, degli arbitri e degli allenatori. Ieri, dopo l’assemblea, Ulivieri, rappresentante degli allenatori, ha criticato Malagò per aver chiesto le dimissioni di Tavecchio e Cosimo Sibilia, rappresentante dei dilettanti, si è schierato con Tavecchio. Capita l’antifona?

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