Fact checking
Perché i gruppi su Facebook stanno diventando segreti
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2019-05-17
Sono le conseguenze di quella che potrebbe essere la prima guerra globale tra gruppi di shitposting, iniziata da un gruppo di troll indonesiani contro un gruppo di meme crossover ha scatenato il panico tra gli admin dei gruppi di tutto il mondo
Da qualche giorno gli admin di molti gruppi Facebook hanno iniziato a modificare la privacy – vale a dire la visibilità – del proprio gruppo che da “pubblico” o “chiuso” è stata cambiata in “segreto”. Per gli utenti che sono già all’interno del gruppo cambia poco. Per chi invece non è iscritto il gruppo scompare dalla ricerca su Facebook diventando di fatto invisibile. Ma come mai c’è questa specie di epidemia di oscuramento? Si teme forse la censura da parte di Facebook oppure dei soliti poteri forti?
La prima guerra globale tra shitposter su Facebook
Nulla di tutto questo. La decisione è stata presa, spiegano gli admin, per proteggere il gruppo dalle segnalazioni. Segnalazioni che potrebbero portare alla cancellazione del gruppo. E dal momento che in molti casi i gruppi sono collegati a pagine Facebook il rischio è anche quello di perdere improvvisamente la fan base degli utenti più attivi e appassionati, quelli che scovano e producono contenuti da pubblicare sulla pagina pubblica. Ma come è possibile che gruppi diversissimi tra loro, alcuni italiani altri internazionali, alcuni che si occupano di cucina o gatti altri di meme o serie televisive, siano tutti a rischio segnalazione?
La ragione, o meglio il colpevole, è un gruppo chiamato Indonesian Reporting Commission (IReC) che ha iniziato una sorta di “guerra” contro la pagina Facebook di meme Crossovers Nobody Asked For (CNAF) e i relativi gruppi Facebook. Il gruppo indonesiano è riuscito, bombardando di segnalazioni il social network a far cancellare il gruppo di CNAF. Sono poi iniziate le “rappresaglie” contro il gruppo indonesiano a base di contro-segnalazioni. Per spirito di solidarietà altre pagine di meme “crossover” e simili hanno invitato i membri dei relativi gruppi a partecipare alla guerra contro l’Indonesian Reporting Commission che ad un certo punto aveva preso il merito della cancellazione del gruppo.
Come è finita la guerra tra shitposter
Di fatto però al di là dei due gruppi principali coinvolti nella diatriba non risulta che altri gruppi siano stati cancellati o segnalati. Né la questione ha a che fare con la decisione di Facebook di eliminare pagine che diffondevano fake news. Un po’ per paura un po’ perché la questione non era molto chiara gli admin dei gruppi hanno deciso a titolo precauzionale di mettersi al riparo da quella che in certi casi è stata presentata come una guerra di segnalazioni a livello globale.
La guerra però era tra shitposter e difficilmente un gruppo di presunti “hacker” (meglio chiamarli troll) indonesiani si sarebbe interessato di gruppi e pagine che non avevano preso parte alla vicenda. Tant’è che già dopo poche ore molti gruppi che erano stati oscurati una volta passata la tempesta hanno riaperto i boccaporti e sono tornati pubblici o semplicemente “chiusi”. A quanto pare infatti è stata raggiunta una sorta di tregua tra i due principali contendenti.
Nel giro di pochi giorni infatti alcuni shitposter erano riusciti a risalire alla vera identità dell’admin di Indonesian Reporting Commission (un certo Muhammad Salim) pubblicando su Facebook tutti i suoi dati personali compresi indirizzo di casa e numero di telefono. Secondo alcune voci addirittura qualcuno si sarebbe presentato sotto casa sua per minacciarlo e per paura di ulteriori ritorsioni Salim avrebbe cancellato tutti i suoi profili social. La vicenda sembra essersi conclusa quando – tramite una pagina indonesiana – che si è fatta promotrice di una sorta di trattato di pace pubblicando un comunicato di scuse da parte di Salim.
Vera o falsa che sia la storia dei pestaggi questa mattina la pagina Facebook Teman-teman Bulu Burung annunciando a breve la pubblicazione di un video di scuse tradotto in inglese e facendo sapere che addirittura si è tenuta una conferenza stampa di “chiarificazione” sugli eventi alla Masjid Universitas Terbuka di Tangerang, una moschea che esiste realmente. Nella lettera Salim spiega di aver iniziato a segnalare le pagine e i gruppi per eliminare le fake news, le bufale e le battute a sfondo religioso che riteneva offensivo.
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