I centomila test sierologici per la patente di immunità e il ritorno al lavoro nella fase 2

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-07

Il test italiano serve a rilevare chi, dopo aver contratto il virus ed essere considerato guarito perché i due tamponi a distanza di qualche giorno sono negativi, ha sviluppato quegli anticorpi che gli consentiranno di non ammalarsi di nuovo, in pratica certifica una patente di immunità. L’esame funziona come un normale prelievo ematico

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Il Comitato tecnico-scientifico della Protezione civile sta per presentare al ministero alla Salute il progetto sull’utilizzo dei test sierologici. Repubblica racconta oggi che in uno o al massimo due giorni e Roberto Speranza potrà valutare la proposta dei tecnici e chiedere correzioni prima di dare il via libera. Più avanti verranno approfonditi altri utilizzi dello stesso strumento, mirati alla ripresa di singole attività produttive. Si tratta di test di importanza fondamentale per sapere chi può tornare al lavoro nella fase 2 e verranno incrociati con la app per tracciare gli spostamenti dei malati e dei sospetti, con le varie misure che scaglioneranno le riaperture e con quelle che manterranno il distanziamento sociale nei locali.

Ieri al Comitato si è parlato di circa 100mila persone da sottoporre all’esame sul sangue in tutto il Paese per capire in quanti sono stati contagiati in queste settimane e quindi sono immunizzati, almeno per qualche mese. Verranno scelte in base alle caratteristiche demografiche e alla quantità degli abitanti delle regioni. Riguardo a quello che è stato definito “passaporto di immunità”, dovrebbe far parte di un secondo progetto, legato all’approfondimento nelle singole attività produttive, magari d’accordo con i datori di lavoro. Quello è un approfondimento mirato che non ha senso legare a uno studio nazionale sulla prevalenza del virus, ma serve a capire chi tra i vari lavoratori ha preso il virus e per almeno un po’ di tempo ne è immune.

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Coronavirus: i contagi regione per regione (La Repubblica, 7 aprile 2020)

I test sierologici per la ricerca del coronavirus possono essere rapidi, perché non richiedono l’intervento di un laboratorio e pochi minuti dopo l’estrazione di una goccia di sangue (come per la glicemia) danno la risposta, oppure prevedere un’analisi più approfondita. Cercano sempre la reazione dell’organismo al passaggio del virus. Come avviene per tutte le infezioni virali, anche di fronte a quella da coronavirus il sistema immunitario produce anticorpi.

Alcuni, che si chiamano IgM, si formano all’inizio dell’infezione, e si trovano nel sangue di solito a 4 o 5 giorni dalla comparsa dei sintomi e scompaiono in qualche settimana. Altri, IgG, si sviluppano dopo, e si trovano nel sangue circa due settimane dai primi sintomi. I test sierologici ricercano nel sangue proprio IgM e IgG. Se si trovano significa che l’infezione potrebbe essere in corso o che ha colpito in passato, che è la cosa che interessa in questo caso. Il limite, che però ha più a che fare con l’uso diagnostico di questi test, è che ci vogliono alcuni giorni prima di sviluppare una iniziale risposta immunitaria. Se però si vuole valutare la diffusione del coronavirus analizzando un alto numero di persone, va bene anche così.

Il Corriere della Sera spiega oggi che c’è anche un test italiano in ballo: dopo sei settimane di studi condotti al Policlinico San Matteo di Pavia, la multinazionale di diagnostica DiaSorin è pronta al lancio di un test sierologico costruito in vitro nei loro laboratori di Saluggia (Vercelli) da un team di 50ricercatori. Entro due settimane è attesa la certificazione Ce, poi potranno partire i test sullapopolazione (con un costo inferiore a 5 euro ciascuno):

Il risultato arriva in un’ora. In Italia potranno essere processati circa 500.000 campioni al giorno. La novità è importante anche perché dal 1°aprile la National Medical Products Administration (Nmpa), ossia la massima autorità del farmaco cinese, ha divulgato una nota ufficiale con la quale comunica che i test rapidi sierologici (basta una goccia di sangue ottenuta pungendo un dito con risultato in 15 minuti) non hanno ancora tutti ottenuto una certificazione di validità e sicurezza in Cina: vuol dire che i tanti kit che hanno inondato il mercato fino ad oggi,incluso quello italiano, non sono tutti in grado di indicare chi è entrato in contatto con il virus, e quindi di escludere chi sia contagioso, perché hanno una bassa sensibilità.

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Il test italiano serve a rilevare chi, dopo aver contratto il virus ed essere considerato guarito perché i due tamponi a distanza di qualche giorno sono negativi, ha sviluppato quegli anticorpi che gli consentiranno di non ammalarsi di nuovo, in pratica certifica una patente di immunità. L’esame funziona come un normale prelievo ematico. I pochi microlitri di sangue vengono inseriti in un macchinario apposito in grado di metterli a contatto con la proteina sintetica costruita nei laboratori DiaSorin utilizzando un pezzo di Sars-Cov-2 (nome del virus). Il kit automatizzato verifica il legame fra la proteina e l’anticorpo neutralizzante (quello che impedisce alla particella virale di replicarsi nella cellula umana) e lo evidenzia attraverso un segnale luminoso.

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