Chi deve fare i test sierologici per tornare al lavoro nella fase 2

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-06

I test sierologici dovranno rilevare quali soggetti hanno sviluppato anticorpi al nuovo coronavirus e a COVID-19 e sono pertanto immuni, ciò anche in vista della Fase 2 di graduale riapertura del Paese partendo presumibilmente dalle attività e settori maggiormente strategici. Il passaporto di immunità potrebbe essere utilizzato anche come criterio per il rientro lavorativo

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Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, ha detto all’agenzia di stampa ANSA che è in dirittura d’arrivo, e si definirà a breve, la scelta dei target di popolazione su cui saranno effettuatitest sierologici a larga scala per avere un quadro della diffusione epidemiologica dell’infezione da SARS-COV-2. Per definire i campioni di popolazione sui quali andranno prioritariamente effettuati i test sierologici, ha spiegato Locatelli, “stiamo tenendo conto di vari criteri, tra i quali le fasce d’età, le aree territoriali anche sulla base della valenza epidemica, la differenza di genere uomo-donna, i profili lavorativi anche in relazione alle attività di maggiore valenza strategica”. I test sierologici dovranno rilevare quali soggetti hanno sviluppato anticorpi al nuovo coronavirus e a COVID-19 e sono pertanto immuni, ciò anche in vista della Fase 2 di graduale riapertura del Paese partendo presumibilmente dalle attività e settori maggiormente strategici. Il fine è anche quello di arrivare ad un cosiddetto ‘passaporto di immunità’ che potrebbe essere utilizzato anche quale criterio per il rientro lavorativo.

franco locatelli

La validazione dei test avverrà, spiega, “sulla base di 4 criteri e dovranno essere test con una valenza nazionale, in modo che non vi sia il rischio di difformità tra le varie Regioni”. “Stiamo lavorando alacremente – ha spiegato Locatelli – e una risposta sulle validazioni ci sarà in tempi brevi, nell’arco di qualche giorno”. La validazione dei test sierologici – mirati ad individuare la presenza degli anticorpi al SarsCov2 attraverso un prelievo di sangue – avverrà sulla base di 4 criteri: “Innanzitutto – ha chiarito Locatelli – si dovrà trattare di un test, o di più test, che dovranno avere una elevata sensibilità e specificità, per evitare che possano esserci dei risultati falsi positivi o falsi negativi. Il secondo criterio è che dovranno essere test realizzabili in tempi brevi, con un arco di tempo ridotto dal momento del prelievo al momento in cui si potrà disporre del risultato”. Terzo criterio è che “possano essere applicabili su larga scala sul territorio nazionale e non ristretti alle capacità di pochi laboratori”. Quarto criterio è che siano dei test “di facile applicazione ed esecuzione da parte del personale sanitario”. Altro elemento fondamentale, ha concluso Locatelli, è che i test sierologici che saranno validati “dovranno essere test con valenza nazionale, proprio per evitare che possano crearsi delle disparità o differenze interpretative tra le Regioni”.

Cosa sono i test sierologici e perché servono per rientrare al lavoro

Gli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi, ha spiegato qualche tempo fa il Corriere della Sera, non sostituiscono o si sovrappongono al test del tampone, il cui scopo è stabilire se una persona ha il virus «addosso» in quel momento (pur con margini di errore) e viene eseguito cercando il suo Rna nelle secrezioni del naso o della gola.

I cosiddetti test sierologici invece si effettuano sul sangue e servono a stabilire se una persona ha fabbricato anticorpi contro il virus Sars-Cov-2, nel qual caso significa che è venuto in contatto con esso in un passato più o meno recente. Gli anticorpi che si vanno a cercare sono essenzialmente di due tipi: IgM (Immunoglobuline M) e IgG (Immunoglobuline G). Le IgM vengono prodotte per prime in ordine di tempo dopo che è avvenuta l’infezione, le IgG successivamente.

come si esegue il test del tampone per il coronavirus
Come si esegue il test del tampone per il Coronavirus (Corriere della Sera, 19 marzo 2020)

Ci sono però una serie di problemi riguardo il loro utilizzo. Il primo è che bisogna individuare quali test anticorpali sono effettivamente validi. ».«In Veneto abbiamo cominciato a verificare i test disponibili», spiega al quotidiano Roberto Rigoli, direttore di Microbiologia e Virologia dell’Ussl 2 di Treviso, che nella sua regione sta coordinando la parte organizzativa su questo fronte. «Ne abbiamo individuati alcuni effettivamente affidabili, ma va sottolineato che la maggior parte di essi non sono risultati tali e quindi sarebbe disastroso usarli perché potrebbe indurre a considerare immuni dal virus persone che invece non lo sono affatto». C’è poi il secondo quesito, ovvero se questi anticorpi hanno davvero un potere neutralizzante nei confronti di SARS-COV-2.

Ci sono infatti virus, per esempio l’Hiv, verso cui l’organismo sviluppa anticorpi, che sono utili a fini diagnostici (infatti dosati nel sangue possono dire se un individuo è venuto in contatto con l’Hiv), ma che non sono capaci di impedire al virus di fare i suoi danni e quindi non forniscono immunità. Altri virus, al contrario, vengono resi innocui dagli anticorpi prodotti verso di essi. «Per capire se quelli fabbricati dal nostro sistema immunitario nei confronti di SarsCov-2 ricadono in questa seconda categoria serviranno altri test di laboratorio, che dovrebbero rendersi disponili nel giro di un paio di settimane».

Rimane un terzo quesito: nel caso si trovino anticorpi neutralizzanti come si potrà sapere quanto dura l’immunità? «Potremo capirlo controllando a cadenza fissa, per esempio ogni tre mesi, chi ha anticorpi protettivi», chiarisce Clerici.

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