Opinioni
Tutto il cibo “immigrato” che gli oppositori di Starbucks hanno sempre mangiato
di Maurizio Stefanini
Pubblicato il 2018-09-12
“Starbucks, quella solidale anche con i chicchi di caffè, macinati tenendo conto dell’etica nella loro spremuta, e nel consumo di Co2, terra, sudore e deodoranti di chi li raccoglie, ebbene la grande catena dal caffè venduto al doppio di una tazzulella made in Italy, quella catena non ne ha azzeccata una”, scrive il vicedirettore del […]
“Starbucks, quella solidale anche con i chicchi di caffè, macinati tenendo conto dell’etica nella loro spremuta, e nel consumo di Co2, terra, sudore e deodoranti di chi li raccoglie, ebbene la grande catena dal caffè venduto al doppio di una tazzulella made in Italy, quella catena non ne ha azzeccata una”, scrive il vicedirettore del Giornale Nicola Porro sul suo blog. Effettivamente da una società che aveva iniziato chiamandosi Il Giornale e spiegando ai consumatori americani che quel nome impronunciabile lo aveva scelto “in omaggio al giornale più autorevole d’Italia” non è che ci si possa aspettare un grande discernimento a proposito di cose nostrane… Nel frattempo Diego Fusaro, filosofo dell’interrelazione tra Marx e Casa Pound, a sua volta scende in campo postando una tavolata con pane e pomodoro, ostriche al limone, mozzarella e birra Ichnusa, in nome del: “E voi andate da Starbucks a bervi il caffè cosmopolita, pecoroni! Io mangio e bevo italico, sempre”. E qualcuno ha subito rilevato che sì, la birra Ichnusa si fa la pubblicità come icona della Sardegna, ma insomma è pur sempre nel gruppo Heineken. Sede centrale: Amsterdam.
Ma è solo un problema di birra? “Sta storia degli americani che ci propinano i loro prodotti come se fossero le uniche cose buone al mondo deve finire! Diciamo no alla moda alimentare mondialista! Diciamo NO al pomodoro!”, ha ad esempio subito twittato Johnny Palomba: comico fantasma, ma ugualmente sferzante. Ma possiamo fermarci al pomodoro? Sì: se oltre agli antimondialisti si vuole fare anche i neo-borbonici dovremmo giustamente concentrare il fuoco su un prodotto che è uno dei massimi ricordi della conquista piemontese del Mezzogiorno. Credete voi che prima che il piemontese commendator Cirio si mettesse a diffondere le sue scatole di passata a partire dalle forniture per il Regio Esercito, nel Regno del Sud ci fosse questa mania di mettere il pomodoro dappertutto? Ma a contribuire all’abbandono della nostra più antica e autentica tradizione gastronomica l’America non ha contribuito solo con i pomodori.
E le patate, allora? Sono forse menzionate le patate tra i cibi ammessi nella Bibbia? Per questo molti credenti ortodossi russi fecero resistenza quando quella nota globalizzatrice cosmopolita della zarina Caterina volle costringere i russi a coltivarle e mangiarle, allontanandoli dalle radici del vero mangiare slavo. Si può seriamente sostenere che il minestrone sia erede della tisana dei romani, nel momento in cui qualche pecorone cosmopolita ha avuto l’idea di sostituire quell’americanata dei fagioli all’antica e verace tradizione italica delle fave. Pitagora cosa era che vietava di mangiare: le fave o i fagioli? C’erano fagioli alle nostre latitudini quando Enea sbarcava sulle rive del Tevere? Ancora peggio: si può seriamente sostenere che la polenta sia erede della puls dei legionari romani, dopo che quegli altri notori associati a Soros della Repubblica di Venezia hanno avuto l’altra idea di sostituire quella americanata del mais alla semola di farro della nostra italica tradizione?
Attenzione, però! Non c’è mica solo l’America. E non è dal Medio Oriente che per prepararci all’invasione dell’Islam ci hanno invaso di kebab e cuscus? Peggio: di albicocche, ciliegie e pesche! Quel cialtrone di Lucullo quando le riportò in Italia dalle sue spedizioni ci tenne anzi fin dal nome a ostentare che le pesche – persiche si dice ancora in tanti dialetti – le aveva prese in Persia. E le ciliegie – cerase – da Cerasunte, attuale Turchia. Le albicocche – dall’arabo ar-barquq – sono addirittura cinesi: manco si dovessero comprare il Milan e l’Inter! Naturalmente sappiamo tutti che in Italia si usava il miele per dolcificare, e che lo zucchero a parte far venire il diabete e rovinare i denti viene dalla Nuova Guinea, e ce lo hanno portato gli arabi quando hanno conquistato la Sicilia. Insomma, chi mette lo zucchero nel caffè mostra una chiara vocazione alla dhimmitudine, come avrebbe detto Oriana Fallaci. Anzi, e che ci importa poi se il caffè sia Starbucks o Segafredo! L’unico caffè che dovremmo consumare è quello che cresce in Italia. Cioè, nessuno. Pianta africana, dalla regione etiopica di Caffa, coltivata oggi tra America Latina e Sud-Est asiatico, portata a sua volta in Europa dai musulmani: Salvini, che aspetti a chiudergli i porti?
E che vogliamo dire poi della mozzarella? Le bufale: immigrate clandestine dall’Asia al seguito di scafisti longobardi. Insulto alla genuina tradizione italica! Ma a voi risulta che i personaggi omerici mangiassero polli? Porchetta, rigorosamente. O i buoi del Sole Iperione. Certo, poi il Sole Iperione un po’ si incazzò, con i marinai di Ulisse. Ma mai come si incazzò Catone il Censore quando vide che i legionari romani di ritorno dalla Grecia agli ordini di quel cosmopolita di Scipione si erano messi a condire l’insalata con l’olio? Ma vi rendete conto? Perché cavolo i romani l’insalata la chiamavano acetaria? Appunto perché si condiva rigorosamente con l’aceto! L’olio di oliva da che mondo e mondo si era usato sulla pelle per proteggere dal sole e dalle zanzare! Giusto ai greculi poteva venire l’idea di mangiarlo, con tutti i grassi che contiene! Ecco, avete finito da dove inizia la piaga del junk food? Aveva ragione Cicerone che quando vide l’olio nell’acetaria iniziò a gridare “O tempora o mores!”. Meno male per lui che è morto e non deve vedere quel cosmopolita di Fusaro mettere sul pane quell’americanata del pomodoro e quella grecata dell’olio di oliva! Veramente, o tempora o mores!