Il diabolico piano per fare contenta l’UE all’insaputa di Di Maio e Salvini

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-10-27

Convincere Bruxelles rimandando quota 100 e reddito di cittadinanza per rendere virtuale il 2,4% di rapporto deficit-PIL: l’ideona dei tecnici del MEF e come la prenderanno Lega e M5S

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Repubblica oggi svela in un retroscena a firma di Roberto Petrini e Tommaso Ciriaco un diabolico piano partito dal ministero dell’Economia e della Finanze per rendere potabile a Bruxelles la Manovra del Popolo. Il piano, come da storytelling, è gradito a Giancarlo Giorgetti, ormai considerato la testa di ponte dell’UE nel governo gialloverde, e ovviamente sgraditissimo a Salvini e Di Maio perché prevede il posticipo di quota 100 e reddito di cittadinanza:

La soluzione, nata nella stanza dei tecnici e gradita anche a Giorgetti, prevede di inserire il reddito di cittadinanza e quota 100 come disegni di legge collegati alla manovra 2019. Cosa significa? Che le due riforme sarebbero finanziate nella legge di stabilità – con il deficit invariato al 2,4 per cento – ma l’erogazione dei 16 miliardi complessivi per reddito e Fornero dipenderebbe da un ddl “separato”.

Il Parlamento non sarebbe insomma obbligato ad approvarlo nella sessione di bilancio che scade a dicembre, ma potrebbe comodamente esaminarlo anche a partire dal gennaio 2019. La spesa effettiva, rimarrebbe congelata. E in caso di mancata approvazione, le cifre resterebbero all’interno del bilancio dello Stato. Nei primi documenti ufficiali, a ben guardare, spunta già il piccolo, fragile paracadute che Tria ha in mente. La Nota al Def, a pagina 8, prevede che i due interventi siano contenuti in un “collegato” alla legge di Bilancio. Il documento inviato a Bruxelles impone che le risorse per quota 100 siano pari a 6,7 miliardi per il 2019 e altrettanti per gli anni successivi: mancherebbero 3 miliardi già nel 2020, rendendo obbligato un nuovo intervento.

conti manovra deficit
I conti della manovra (Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2018)

Insomma, l’ideona dei tecnici sarebbe rimandare alla seconda metà del 2019 i piani più espansivi delle riforme gialloverdi. Ma c’è un problemone: si vota a maggio.

Quanto alla bozza di manovra, non contiene le norme su reddito e pensioni, ma si limita ad accantonare in due “fondi” la somma di 9 miliardi per il reddito e di 6,7 per le pensioni. Tria pensa che posticipare la spesa effettiva possa mettere al riparo il Paese. Di fronte all’assalto dei mercati, o ai primi eventuali dati parziali del Pil 2019 inferiori alla previsione, l’esecutivo potrebbe congelare reddito e Fornero.

O più semplicemente farli partire a metà anno, adducendo anche ragioni tecniche. Peccato che i due vicepremier non vogliano sentire parlare di soluzioni del genere. Con le Europee all’orizzonte, sono pronti a chiedere la testa del ministro piuttosto che cedere alla strategia attendista del Tesoro. Sempre che lo spread non resetti il cronometro di questa partita. E sconvolga i piani dei due leader.

Leggi sull’argomento: Il voto a febbraio e l’opzione guerra alla UE nei piani di Lega e M5S

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