Opinioni
Luigi Di Maio e il solito referendum sull'uscita dall'euro
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2017-09-03
Il MoVimento 5 stelle non vuole uscire dall’Unione Europea e considera il referendum sull’uscita dell’euro una “estrema ratio” per avere più potere nel contrattare alcuni trattati come il fiscal compact. “Sulla politica monetaria – ha detto Luigi Di Maio a Cernobbio – noi abbiamo avuto il merito di scatenare il dibattito e a questo è […]
Il MoVimento 5 stelle non vuole uscire dall’Unione Europea e considera il referendum sull’uscita dell’euro una “estrema ratio” per avere più potere nel contrattare alcuni trattati come il fiscal compact. “Sulla politica monetaria – ha detto Luigi Di Maio a Cernobbio – noi abbiamo avuto il merito di scatenare il dibattito e a questo è servito il tema che abbiamo posto del referendum sull’euro come peso contrattuale, come estrema ratio e via di uscita nel caso in cui i paesi del Mediterraneo non dovessero essere ascoltati, ma noi non siamo contro l’Ue”. “Noi – ha aggiunto – vogliamo restare nell’Ue e discutere alcune delle regole che stanno soffocando e danneggiando la nostra economia. Anche i soldi che diamo al bilancio dell’Ue ogni anno devono essere uno dei temi da sottoporre alle altre nazioni”.
In molti hanno spiegato già a Luigi Di Maio che la sua posizione sul referendum sull’euro è semplicemente incomprensibile. Di recente anche il Financial Times, che ha definito lui, Beppe Grillo e Marine Le Pen come “ciarlatani”. Luigi Di Maio, spiega Münchau, sostiene che il referendum sull’euro è la seconda priorità del suo partito dopo la lotta alla povertà, e questo equivale a dire che Di Maio vuole smettere di mangiare la cioccolata prima di divorziare da sua moglie. Perché, come è evidente a tutti tranne che ai 5 Stelle e alla Le Pen (pensate: ci è arrivato persino Salvini!), indire una consultazione popolare sull’euro (a prescindere da quale sia: anche il referendum sul referendum proposto qualche tempo fa da Di Maio) porterebbe da subito gli effetti economici dell’uscita visto che chiunque si preparerebbe all’occorrenza a prescindere dal fatto che questa arrivi o no. Anzi, di più:
Gli investitori non aspetterebbero fino al referendum. Una volta appurata l’elezione di Di Maio a primo ministro, qualsiasi investitore raziocinante prevederebbe un voto a favore di un’uscita dall’euro, farebbe una stima della svalutazione e calcolerebbe quanto dovrebbe salire il rendimento in quel momento per neutralizzare una futura ridenominazione. La sera delle elezioni, Di Maio si troverebbe a fronteggiare un fuggi fuggi dal sistema finanziario italiano e il mattino dopo le banche si troverebbero insolventi.
Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, non garantirebbe un «whatever it takes», ovvero non farebbe di tutto per sostenere l’euro con un politico che minaccia di indire un referendum del genere. Di Maio avrebbe al massimo ventiquattro ore di tempo per rinunciare all’incarico o per annullare il voto.
Ma c’è di più rispetto a quanto scritto da Münchau. Il quale, per sua fortuna, non è al corrente del fatto che il MoVimento sostiene di puntare tutto su una legge di riforma costituzionale (guardacaso quella stessa Costituzione che qualche mese fa era intoccabile) per introdurre in Costituzione l’istituto del referendum consultivo. Il passaggio è un po’ più complicato e non ha – anche se Di Maio la fa molto facile – moltissime garanzie di successo. La nostra Costituzione prevede infatti che per evitare un referendum popolare confermativo l’eventuale riforma costituzionale dei 5 Stelle debba essere approvata da almeno i due terzi dei componenti di entrambe le Camere. In caso contrario la legge di modifica costituzionale che introduce il referendum consultivo deve a sua volta essere sottoposta essere a referendum (senza contare che si andrà a referendum qualora entro tre mesi dall’approvazione definitiva ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).
Se e solo se il popolo sovrano si esprimerà a favore della legge di riforma costituzionale allora si potrà indire un referendum consultivo per chiedere ai cittadini di esprimersi sulla permanenza nella moneta unica. Anche in quel caso però l’uscita dall’euro non sarà automatica perché il Parlamento dovrà votare l’abrogazione della legge che ratifica il trattato di adesione all’euro.
Il procedimento di revisione costituzionale però è piuttosto lungo e complesso e ai tempi necessari per l’approvazione della legge di modifica della Costituzione si aggiungono quelli per il referendum e l’eventuale successiva discussione per l’uscita dell’Italia dall’euro (ma a quanto pare non dall’Unione Europea). Durante tutta questa fase il nostro Paese potrebbe esperire una preoccupante fuga di capitali all’estero (con che prospettive i grandi gruppi industriali potrebbero rimanere in Italia durante un periodo di incertezza tale?) senza contare che una volta fuori la nostra moneta finalmente sovrana si troverebbe sottoposta alle fluttuazioni dei mercati finanziari (e della tanto temuta speculazione) dalle quali fino ad ora l’euro, con tutti i suoi difetti, ci ha protetti. Non va inoltre esclusa la possibilità di una corsa agli sportelli per prelevare i contanti e chiudere i conti.