Opinioni
Libero e chi vuole tagliare di brutto le nostre pensioni
di dipocheparole
Pubblicato il 2020-06-15
Renato Farina su Libero oggi si movimenta la giornata inventando che c’è chi vuole tagliare “di brutto” le “nostre” pensioni. Il noto aruspice già noto con il soprannome di Betulla spiega in prima pagina sul quotidiano di Vittorio Feltri che oggi “arrivano piccole sforbiciate alla rivalutazione dei vitalizi” (vero, ne abbiamo parlato qui: si tratta […]
Renato Farina su Libero oggi si movimenta la giornata inventando che c’è chi vuole tagliare “di brutto” le “nostre” pensioni. Il noto aruspice già noto con il soprannome di Betulla spiega in prima pagina sul quotidiano di Vittorio Feltri che oggi “arrivano piccole sforbiciate alla rivalutazione dei vitalizi” (vero, ne abbiamo parlato qui: si tratta di mini-tagli alle pensioni contributive che andranno però in vigore nel 2021 e che derivano dalla revisione dei coefficienti di trasformazione degli assegni che si fa per legge con cadenza biennale) e inventa che ne arriveranno altri con la consueta prosa che fa pensare all’allarme megagalattico imminente perché è entrata una mosca in cucina, e con la consueta dovizia di puntini (ma chi ti credi di essere, Ilvo Diamanti?):
Ma il medesimo paziente non è tanto tranquillo. Gli caveranno sangue. Questa è l’intenzione. Una follia. La pensione non è un bene solo degli intestatari, ormai è un patrimonio familiare, una risorsa che impedisce l’esplosione di una tensione sociale alimentata dalla povertà di molti e dalla paura della povertà della maggioranza. Nelle cronache da Villa Pamphilj, c’è un padiglione riservato dove si fanno discorsi e si propongono calcoli che fanno convergere lo sguardo dolente e goloso dei vampiri internazionali sulla massa dei pensionati, ritenuta sufficientemente pasciuta per sottoporla a una dieta madornale.
Ma attenzione, perché mentre Farina parla di piani e pianucci senza indicare uno straccio di fonte come è sua abitudine, qualcuno (la troika?) sta anche vendendo l’Eni e facendo la patrimoniale:
Qualcuno ha parlato di zuppe in ebollizione pronte da servire per ustionare la gola agli italiani e convincere le Tre Erinni:
1) Vendita dell’argenteria di famiglia (Eni, Leonardo, Fincantieri,ecc).
2)Patrimoniale e prelievo forzoso dai conti.
3)Taglio delle pensioni.
Ricetta greca un po’ ammorbidita. Tanto per capirci, su invito della Troika, il governo di sinistra di Tsipras tagliò subito del 20 per cento le pensioni sopra 1200 euro mensili, ne cancellò la tredicesima, sforbiciò gli assegni di quanti erano andati in pensione prima dei 55 anni. Lo faranno? E dove volete che si diriga lo sguardo della Troika? La siringa di questa Avis di alieni punta lì, sui teneri e bianchicci strati adiposi dei pensionati italiani. Pensionato avvisato, mezzo salvato.
Come abbiamo spiegato, coloro che lasceranno il lavoro a partire dal prossimo anno avranno, a parità di età, una quota contributiva della pensione leggermente inferiore a quella di chi si è ritirato quest’anno: l’impatto è minimo per chi ha il retributivo fino al 2011, più visibile per chi ricade nel “misto” o nel sistema contributivo puro.
La revisione periodica dei coefficienti di trasformazione è prevista dalla legge Dini che nel 1995 ha istituito il sistema contributivo; a partire da questa tornata avrà cadenza biennale. L’idea di fondo è che il “gruzzolo” messo insieme con i versamenti della carriera lavorativa sia “spalmato” sugli anni che presumibilmente restano da vivere all’interessato; dunque se statisticamente la sopravvivenza aumenta, l’importo della pensione annuale si ridurrà in proporzione.
A 65 anni si passa ad un coefficiente di 5,22 per cento (poco più di 19 il divisore) con un calo dello 0,48%. A 71 anni il valore del parametro sale a 6,466% (condivisore intorno a1 5,5) e la variazione percentuale rispetto al 2019 è pari a -0,72%. È il caso di ricordare che tutta la procedura è definita in base alle formule contenute negli allegati della legge Dini (poi parzialmente modificata nel 2007), formule che si applicano ai dati demografici forniti dall’Istat. Non sono quindi previsti margini di discrezionalità o di valutazione politica rispetto a questi calcoli, così come accade per quelli relativi alla rivalutazione del montante sulla base del Pil nominale.