La retromarcia del governo sul reato di clandestinità

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-01-10

Mentre giudici e procuratori spiegano che sarebbe giusto cancellarlo, il governo annuncia l’abolizione a mezzo stampa e poi se la rimangia. E lo fa in nome di “un’emergenza” che era già in atto. Ma allora perché tirare fuori questa sceneggiata?

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Una storiella patetica che però fornisce l’esatta dimensione della tragedia italiana. In questi due giorni i quotidiani italiani sono stati occupati dalla questione dell’abolizione del reato di clandestinità. Ha cominciato Repubblica che in un articolo di Liana Milella annunciava l’intenzione del governo di cancellare il reato di clandestinità. Una forma di sottile dejà-vu, visto che molti avevano annunciato che il reato era stato già abolito nell’aprile 2014. All’epoca infatti il parlamento aveva approvato una delega che dava al governo un anno e mezzo di tempo per depenalizzare diversi reati, a cominciare da quello di immigrazione clandestina. Da aprile 2014 l’anno e mezzo di tempo è ampiamente passato, ma il governo non aveva esercitato la delega.

La retromarcia ingloriosa del governo sul reato di clandestinità 

Dopo la scadenza della delega, a novembre  la commissione giustizia di Montecitorio aveva vincolato il governo al rispetto delle indicazione del Parlamento. Ma il governo l’ha dimenticato. Per poi ricordarsene prima del consiglio dei ministri di venerdì scorso, in previsione del quale era uscito l’articolo di Repubblica in cui si dava la parola al guardasigilli Andrea Orlando che appoggiava l’iniziativa mentre i procuratori di frontiera alle prese con i trafficanti di esseri umani la chiedevano:

Quelle quindici righe cancellano l’articolo 10bis del testo unico sull’immigrazione del 1998, la famosa Bossi-Fini, emendato però sul punto dal decreto sicurezza del 2009. Pieno governo Berlusconi, al ministero dell’Interno Roberto Maroni, alla Giustizia Angelino Alfano. Vollero, e votarono, il reato di immigrazione clandestina, poi ripetutamente bocciato dall’Unione europea, perché non punisce un comportamento, ma uno status, quello di clandestino appunto.
Il giorno buono della cancellazione avrebbe potuto essere già oggi. Il decreto legislativo di Orlando sulla depenalizzazione è pronto, una dozzina di articoli tra cui il nostro articolo 4, “modifiche in materia di disciplina dell’immigrazione”. Una riga secca, la terza, per dire che “l’articolo 10bis è abrogato”. Ma un diavolo s’è messo ancora di traverso. Ancora un rinvio, pare alla prossima settimana, al consiglio dei ministri del 15 gennaio. Ufficialmente solo un problema tecnico, ufficiosamente il vero ostacolo si chiama Ncd, il partito di Alfano, oggi titolare dell’Interno, che non accetta di cancellare il reato.

Nello stesso giornale veniva intervistato il procuratore nazionale anti-mafia e anti-terrorismo Franco Roberti, il quale sosteneva che se si depenalizza il reato di immigrazione clandestina, introdotto con la legge Bossi-Fini nel 1998, “sarà più facile individuare e colpire i trafficanti di esseri umani”. E il procuratore spiegava: “Non v’è dubbio che è molto più utile per le indagini e per accertare la responsabilità di soggetti colpevoli di traffico organizzato di migranti poter esaminare i clandestini solo come persone informate sui fatti, con riflessi positivi sulla speditezza, efficacia e legittimità delle indagini contro i trafficanti”, anziché come indagati di immigrazione clandestina. Una fattispecie di reato che, per Roberti, non ha svolto una funzione dissuasiva sull’immigrazione clandestina: “Stando ai dati constato che non sembra proprio che la norma l’abbia svolta”.

L’evidenza giuridica e la faccia tosta

Ma cosa può un’evidenza giuridica di fronte a una eccezionale faccia tosta? Niente. “La richiesta viene dagli addetti ai lavori, dai magistrati, però penso che in questa specifica fase storica e politica per poter depenalizzare i reati di immigrazione clandestina, occorre preparare prima l’opinione pubblica, non perché abbiamo paura in termini di consensi, ma perché c’è un problema di percezione della sicurezza”, ha infatti detto il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi in una intervista al Corriere della Sera. “Se eliminando questo reato la percezione dei cittadini è quella di una minore sicurezza questo è un problema”, spiega Boschi. “Forse si può arrivare a eliminare quel reato se si prepara bene il terreno, oggi non credo che sia giusto farlo”. Le ha fatto eco Angelino Alfano su Repubblica: “Il reato di clandestinità non ha funzionato ma abolirlo adesso spaventerebbe la gente”.  Fu un tentativo di dissuasione – spiega – ma non funzionò, ma osserva il ministro, “non e’ questo il momento opportuno per andare a modificare quel reato. La gente non capirebbe. Nel campo della sicurezza stiamo giocando due partite intrecciate ma diverse: una sulla realta’ e l’altra sulla percezione della realta’. La realta’ e’ che calano i reati , che la criminalita’ organizzata non e’ mai stata cosi’ in affanno e che abbiamo svolto finora un ottimo lavoro di prevenzione sul terrorismo internazionale. Ma la percezione dei cittadini italiani e’ un’altra”. Per il Ministro, si deve “lavorare perche’ una percezione sbagliata non modifichi i comportamenti, perche’ alla fine, la paura incide anche sul senso di liberta’. Il momento e’ molto particolare – spiega – e non dobbiamo dare agli italiani l’idea di un allentamento della tensione sulla sicurezza proprio mentre chiediamo di accogliere i profughi”.  Quello che dice la Boschi e ripete Alfano è tutto ragionevole: ma allora perché aprire un dibattito su un punto del genere? Se un governo è in grado di fare soltanto quello che è popolare, allora tanto vale non annunciare nulla; ma perché farsi dare una delega, lasciarla scadere per poi riproporre il tutto in un momento in cui “c’è un problema di percezione della sicurezza, e infine rimangiarsi ogni decisione di nuovo?

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