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Il volo, che non è un volo, di Bolsonaro il tacchino

di Francesco Guerra

Pubblicato il 2020-04-21

Bolsonaro è cosciente del fatto che le putrefatte (soprattutto in termini morali) elites brasiliane stanno già guardando altrove nella loro ricerca di un candidato in vista del 2022

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Ancora la ricordo la folta truppa di giornalisti italiani, suppostamente liberali, moderati e anche puliti (perché il liberale italiano è in media quello con la camicia bianca del De André di “Quello che non ho”), i quali, all’indomani dell’elezione di Bolsonaro a presidente di questo sfortunato Paese, si affrettavano a sottolineare come, in fondo, non vi fosse poi tanta differenza tra lui e Lula e che, anzi, malgrado la postura, Bolsonaro sembrava avere i galloni per fare in Brasile qualcosa di molto simile ad una rivoluzione liberale. Ammetto di non essere sempre arrivato alla fine nella lettura dei suddetti articoli, non avendo, io, così tanta pazienza da leggere gli sproloqui di gente che scriveva di Brasile dal salotto di casa a Milano, avendo, loro, nella migliore delle ipotesi, visto Rio de Janeiro in cartolina o visitato Brasilia nell’arco di un pomeriggio. Pennivendoli, i quali, per scrivere idiozie di tali proporzioni, dubito che si siano mai presi la briga di andarsi a studiare un poco della complessa storia del Brasile o della ancora più complessa storia dell’America Latina, che, giova ricordarlo, non è il Sudamerica (ma, ovviamente, nemmeno questo sanno).

Il volo, che non è un volo, di Bolsonaro il tacchino

Questo preambolo, volutamente indisponente, si presenta necessario, qualora si voglia ben inquadrare quanto accaduto nella giornata di domenica di fronte al Quartier Generale dell’esercito a Brasilia, dove Bolsonaro – davanti ad una folla adorante il periodo della dittatura che fu, e che, a gran voce, chiedeva la chiusura del Congresso e della Corte Suprema, oltre che il ritorno del tristemente famoso Atto Istituzionale 5 – ha solennemente affermato che lui non intende negoziare nulla e che la la vecchia politica è solo un lontano ricordo, perché adesso c’è lui al potere, il nuovo, e con lui al potere il popolo è al potere. A chi lo implorava di dargli un’altra ventina d’anni di dittatura, Bolsonaro si è affrettato a rispondere che la “nostra democrazia” e la “nostra libertà” sono valori che è necessario difendere. Più che una pericolosa chiamata alle armi di natura sovversiva, a me sembra che siamo qui in presenza del classico volo del tacchino traslato all’interno della vita politica. Il volo, che non è un volo, è l’ennesimo sgangherato discorso di Bolsonaro, mentre il tacchino, come sarà facile intuire, è lo stesso Bolsonaro. Ma allora, viene fatto di chiedersi, quale la ragione per la quale Bolsonaro ha arringato il suo popolo in piena emergenza Covid-19, senza nemmeno tentare un “golpettino domenicale”? La risposta è tanto semplice, quanto abbastanza scontata, e non potrebbe essere altrimenti, considerando il soggetto di cui si parla: il tacchino, appunto. Bolsonaro, in buona sostanza, sta facendo la conta di quelli che lo seguiranno nella sua nuova avventura politica: Alleanza per il Brasile.

bolsonaro golpe coronavirus come stanno le cose 1

Lasciando sullo sfondo ogni pur giusta considerazione di natura etica, vista la gravità della situazione legata al Covid-19, ciò che l’inquilino dell’Alvorada sta facendo è una costante radicalizzazione dei toni, al fine di esacerbare ulteriormente il già avvelenatissimo clima politico brasiliano e per questa via ottenere un feedback in termini elettorali, in vista delle prossime elezioni presidenziali, che sembrano lontane, ma, per la concezione del tempo della politica brasiliana, lontane non sono.

bolsonaro tosse brasilia 1

 

In altri termini, Bolsonaro è cosciente del fatto che le putrefatte (soprattutto in termini morali) elites brasiliane stanno già guardando altrove nella loro ricerca di un candidato in vista del 2022. Più ancora, l’atto di ieri di Bolsonaro è figlio della crescente approvazione di due figure politiche, che, sic stantibus rebus, potrebbero correre contro Bolsonaro in un eventuale ticket: João Doria, attuale governatore dello Stato di San Paolo, e l’ex Ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta. Di fatto, pur con alcune eccezioni, Doria e Bolsonaro si contenderebbero una discreta fetta di quell’elettorato, volta a volta, oscillante tra moderatismo conservatore ed estremismo di destra. Di qui, nasce l’esigenza per Bolsonaro di non mollare la presa su questo elettorato, estremizzando ogni volta ogni assunto politico, a prescindere dalla sua gravità, nella speranza di esacerbare i già provati animi del popolo brasiliano. Anche alla luce di proiezioni elettorali tutt’altro che esaltanti per la sua Alleanza per il Brasile, Bolsonaro ha estremo bisogno di evitare una migrazione di voti in direzioni di Doria, o di qualche altro possibile candidato moderato, e per fare questo non può non restare letteralmente incollato al proprio elettorato, ma, più di tutto, ha bisogno che la parte moderata-conservatrice del suo elettorato si mantenga su posizioni estremiste, populiste e “politicamente affettive”, ossia a dire, che continui a credere che il popolo, incarnatosi nel suo Presidente, si trovi realmente alla guida del Paese. In altre parole, Bolsonaro, tra una sparata e l’altra, sta cercando di mantenere alto il tasso di emotività tra coloro che egli pensa essere i suoi elettori e potenziali elettori. Tuttavia, come detto all’inizio, quello di Bolsonaro è un volo di tacchino, peraltro destinato a restare tale. A chiarire, in via definitiva, questo punto vi hanno pensato nella giornata di ieri, 20 aprile, alcuni rappresentanti della cosiddetta cúpula militare, che, di fatto, coabitano con Bolsonaro alla presidenza, spesso direzionandone le scelte. Si potrebbe riassumere il punto di vista degli alti comandi militari sulla manifestazione bolsonarista di domenica con l’espressione: can che abbaia non morde. Ossia a dire: nonostante i colpi di teatro di Bolsonaro, la situazione è sotto controllo, perché tanto i comandi militari quanto il Congresso – nelle persone dei Presidenti di Camera e Senato, Rodrigo Maia e Davi Alcolumbre – la Corte Suprema e i governatori dei vari Stati, tutti sono, più o meno concordemente, allineati a risolvere quelle che, ad oggi, rappresentano le reali problematiche del Brasile, a partire dall’emergenza Covid-19.

In altre parole, nessuno all’interno della cúpula militare sta facendo il conto di quanti carri armati sarebbero necessari per chiudere il Congresso e la Corte Suprema (STF) e dunque si può pure permettere che Bolsonaro e il suo popolo scendano in piazza, giocando a fare i piccoli golpisti, trattandosi manifestamente solo del volo, non volo, di un tacchino e nulla più. Sullo sfondo di tutto questo vi è, tuttavia, la possibilità che il Presidente senza presidenza possa giocare la carta dell’attacco frontale portato contro il Presidente della Camera, secondo quanto riferito dalla rubrica Radar sulla rivista Veja: “Per i militari – scrive Robson Bonin – Bolsonaro, in accordo con la Procura Generale della Repubblica, potrebbe rivolgere ogni suo attacco contro Rodrigo Maia, usando le investigazioni della Lava Jato (ndr: come sempre, perfetta arma politica) per aprire processi al fine di intimidire il Presidente della Camera, nemico numero uno del bolsonarismo”. Solo che, in tal modo, continua Bonin, riferendo sempre il punto di vista delle alte sfere dell’esercito, Maia si troverebbe nella inevitabile condizione di dare avvio all’apertura del processo di impeachment contro Bolsonaro. A quel punto, l’assunzione della Presidenza da parte di Maia, pur provvisoriamente, in attesa che si arrivi ai tempi previsti dalla Costituzione per l’insediamento del generale Hamilton Mourão, diventerebbe l’opzione verosimilmente più percorribile. Questo perché, nel breve come nel medio periodo, nessuno sembra avere interesse ad andare a nuove elezioni, di fatto, preferendo tirare a campare tra un volo del tacchino Bolsonaro e l’altro. In attesa che i tempi siano maturi per l’inevitabile impeachment o, secondo un copione rodato nella storia brasiliana, una carta di addio nella quale si agitino presunte “forze oscure”.

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