IKEA ha un problema con i lavoratori?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-11-30

Ikea si racconta come una “grande famiglia” e da sempre punta ad essere sinonimo di casa. Ma questo solo per i clienti, perché con i dipendenti il rapporto è più quello del padre-padrone e i due licenziamenti improvvisi degli ultimi giorni dimostrano che la proverbiale rigidità dell’arredamento svedese ha un corrispettivo anche nella gestione del personale

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Ha fatto molto discutere la decisione di Ikea di licenziare Marica Ricutti, una donna separata madre di due figli di cui uno disabile. La lavoratrice aveva chiesto la possibilità di un cambiamento degli orari di lavoro per potersi prendere cura dei figli. Il problema principale era l’inizio dei turni, la dipendente della multinazionale svedese aveva chiesto di poter iniziare alle nove di mattina anziché alle sette per avere il tempo di accompagnare i figli a scuola.

La rigidità svedese di Ikea nei confronti dei dipendenti

Secondo la versione dei fatti fornita da Ikea negli ultimi 8 mesi “la signora Ricutti ha lavorato meno di 7 giorni al mese e, per circa la metà dei giorni lavorati, ha usufruito di cambi di turno e spostamenti di orario, concordati con i colleghi e con la direzione del negozio. Nell’ultimo periodo, in più occasioni, la lavoratrice per sua stessa ammissione si è autodeterminata l’orario di lavoro senza alcun preavviso”. La lavoratrice però all’Huffington Post ha dato una versione dei fatti decisamente diversa spiegando di non aver mai ricevuto un richiamo formale dall’azienda. Risulta poco credibile che per otto mesi una lavoratrice di Ikea abbia potuto fare quello che voleva senza che l’azienda prendesse provvedimenti. Nel corso degli anni le proteste di sindacati e dei lavoratori Ikea ci hanno fatto capire che non è così che funzionano i rapporti di lavoro all’interno dei punti vendita.

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Un posto di lavoro su misura per i lavoratori Fonte: IKEA

Anche a proposito del rispetto dell’orario, la versione della dipendente è molto diversa. Marica RIcutti ha raccontato di aver parlato con i suoi responsabili spiegando la situazione e ricevendo “molte rassicurazioni” sul fatto che non le avrebbero assegnato il turno delle sette se non al sabato o alla domenica, quando i due bambini sono con il padre. A quanto pare si trattava solo di parole perché il nuovo prospetto dei turni prevedeva l’inizio alle sette e andava a modificare anche la giornata del martedì, giorno in cui la donna deve portare il figlio disabile a fare terapia.

Il lavoratore licenziato per qualche minuto di pausa di troppo

Sul suo sito Ikea racconta con orgoglio la sua capacità di rispettare le differenze (di genere, di orientamento sessuale) e di non combattere la discriminazione sui luoghi di lavoro: “nel Gruppo IKEA accogliamo la diversity in tutte le sue declinazioni”. A patto, a quanto sembra, che non rappresenti un problema. Eppure Ikea sul sito aziendale promette di essere in grado di creare “un posto di lavoro su misura per te”. Un posto dove ogni lavoratore può essere valorizzato per le sue competenze e può sempre essere se stesso perché Ikea non ama la burocrazia.

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Fonte: IKEA

Inclusione, rispetto delle differenze, sostegno ai collaboratori, questi alcuni dei valori aziendali di Ikea. Belle parole che però a quanto pare non si applicano al caso di una mamma separata con un figlio disabile che ha chiesto – dopo 17 anni in Ikea – di poter cambiare l’orario d’inizio del turno. E a quanto pare la Ricutti non è l’unica ad aver subito un trattamento molto poco “umano” da parte dell’azienda. Da anni i dipendenti (i “collaboratori” come li chiama Ikea) lamentano che i turni lavorativi vengono cambiati di continuo con pochissimo preavviso. Anche le politiche del rinnovo dei contratti a tempo determinato contribuiscono a creare un clima poco sereno e a “tenere sulla corda” i dipendenti quasi fino al giorno della scadenza. L’Huffington Post pubblica oggi l’intervista a Claudo Amodio, un dipendente Ikea di Bari addetto alla logistica, che è stato licenziato dopo 11 anni di lavoro per aver prolungato di qualche minuto la pausa pranzo. Prima è arrivata la lettera, con conseguente sospensione dal lavoro, poi il licenziamento con la motivazione che “si è interrotto il rapporto di fiducia” con il dipendente.

#cambiaIKEA, la campagna UIL per “parlare” con Ikea

A quanto pare il colosso svedese ha un vero e proprio problema con i dipendenti. Il dialogo con i “collaboratori” non viene più coltivato come un tempo. La retorica della “grande famiglia” ormai non basta più a contenere il malcontento di quelli che in Ikea sono entrati quando l’azienda prometteva possibilità di crescita e rapporti umani (un sogno nella grande distribuzione). Secondo il segretario generale della UilTucs Lazio, Giuliana Baldini: «oggi i lavoratori si ritrovano non solo a dover fare doppi turni e cambi reparto senza preavviso, ma anche a non essere ascoltati nei loro diritti. È a tutto questo che la Uil, insieme a loro, dice basta. Perché non è possibile evitare il dialogo e il confronto con chi nei punti vendita ci lavora ogni giorno e ha contribuito alla crescita di un marchio internazionale».

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Ivana Veronese è segreteria nazionale UILTuCS

Anche a Padova, dove Ikea ha aperto nel 2005 i sindacati hanno registrato un cambiamento di mentalità e di atteggiamento dell’azienda nei confronti dei lavoratori. Fabio Paternicò, sindacalista della Uiltucs padovana ha dichiarato al Mattino di Padova che, «adesso è tutto cambiato. Il numero dei lavoratori che l’Ikea chiama co-workers è sceso da 450 a 350. Gli impegni dell’azienda di aumentare i full-time si sono rivelati promesse da marinaio. Tant’è che ancora oggi il tempo parziale di lavoro, che oscilla tra 24 e 30 ore settimanali, riguarda il 70% della forza lavoro, della quale il 65% è femminile. Il salario medio è compreso tra i 900 ed i 1. 200 euro, mentre in Svezia lo stipendio medio per un dipendente del commercio oscilla tra i 2500 e i 3000 euro». Per questo motivo UILTuCS ha deciso di lanciare una campagna chiamata CambiaIkea per cercare di riallacciare i fili del dialogo con l’azienda. Alla luce dei licenziamenti di questi giorni il dubbio è che l’azienda abbia deciso di rispondere a muso duro. Non un grande viatico per l’apertura del dialogo.
 
 

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