Opinioni
Quanto mi manca viaggiare come prima del Coronavirus
di Vincenzo Vespri
Pubblicato il 2020-05-10
E’ tempo di bilanci. Il (troppo) lungo lockdown sta lentamente modificando il pensiero dominante delle masse. Adesso la maggioranza sta con quelli che vogliono aprire il prima possibile, senza se e senza ma. Sono ormai netta minoranza coloro che ancora glorificano le gesta dei governatori che utilizzando elicotteri, droni e un ingente spiegamento di forze […]
E’ tempo di bilanci. Il (troppo) lungo lockdown sta lentamente modificando il pensiero dominante delle masse. Adesso la maggioranza sta con quelli che vogliono aprire il prima possibile, senza se e senza ma. Sono ormai netta minoranza coloro che ancora glorificano le gesta dei governatori che utilizzando elicotteri, droni e un ingente spiegamento di forze dell’ordine hanno fermato ad ogni costo l’azione criminale di ciclisti, runners e bagnanti (invece che indirizzare gli stessi sforzi contro il crimine organizzato…). Ormai è da un mese che l’ipotesi che il virus sia stato costruito in laboratorio dai Cinesi sta sempre più guadagnando consenso presso il popolo della rete. I virologi, che prima erano considerati santoni, adesso sono considerati come persone che non ne azzeccano una nemmeno per sbaglio. Un’altra idea che si sta diffondendo è che i tecnici scelti (da Arcuri, a Ricciardi fino a Colao) siano tutti manifestamente incapaci. D’altra parte è un must: il CT della Nazionale di Calcio è sempre un incompetente. Sempre più guadagna terreno l’idea di una gestione scadente dell’emergenza (ad ogni livello e con rare eccezioni) e di ruberie diffuse (in primis quelle concernenti il mercato delle mascherine). I lunghi discorsi di Conte a reti unificate, le autocertificazioni, il susseguirsi di nuove ordinanze e le proibizioni (apparentemente?) senza senso, stanno diventando sempre più insopportabili. Si lamentano i commercianti e i ristoratori in particolare. La gente sente sempre più la mancanza di estetisti e parrucchieri.
Per quanto riguarda me, quello che ho sofferto di più in questo lockdown è stata la mancanza del viaggio. Per mia fortuna sia può viaggiare non solo fisicamente, ma anche parlando con gli altri o leggendo i libri. Come si possa viaggiare solo parlando con gli altri, lo descrive magnificamente Baricco quando scrive di Novecento (il pianista sull’oceano): “Viaggiava. Era difficile capire cosa mai potesse saperne lui di chiese, e di neve, e di tigri e… voglio dire, non c’era mai sceso, da quella nave, proprio mai, non era una palla, era tutto vero. Mai sceso…… . Negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui, quell’aria, l’aveva respirata davvero. A modo suo: ma davvero. Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava…. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere…. Sapeva leggere la gente”.
Viaggiare con i libri è più difficile. Io ci riesco solo se in quei luoghi ci sono già stato. A me non interessano tanto i luoghi quanto le persone che ci abitano. Ad esempio, se voglio viaggiare nella mia terra, la Toscana, leggo Boccaccio e Machiavelli. La Toscana, storicamente, è stata la terra di confine fra Impero e Papato. Siamo perciò mercanti, affabulatori, non crediamo in niente e sappiamo scherzare su tutto, soprattutto su noi stessi e sui nostri difetti, sappiamo osservare gli altri, quasi radiografarli. Non ci fidiamo degli altri ed elaboriamo strategie degne del Principe di Machiavelli. Non vedo la Toscana in Dante: è troppo grande, non può essere solo toscano o italiano.Rappresenta un’intera era storica: il Medioevo. Un altro popolo di mercanti in Italia è quello veneto. Goldoni è, in un certo senso, simile a Boccaccio. Ritrae in modo mirabile ed acuto il popolo. Invece i romani sono stati da duemila anni sotto il giogo di un potere duro ed implacabile: prima l’Imperatore e poi il Papa. Non osano ribellarsi ma mugugnano. Gli scrittori giusti per viaggiare nell’atmosfera di Trastevere sono, secondo me, Belli e Trilussa. Abbastanza simili ai romani sono i napoletani. Adoro i napoletani di cultura. E pertanto adoro leggere Eduardo De Filippo. Gli Abruzzesi, per me, sono quelli di Fontamara di Silone. “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito.“. Mi ricordo quando invitai a fare un seminario all’Aquila Giorgio Letta. Quando entrò in aula, non entrò un eccellente matematico qual’era, ma un “notabile” di Avezzano. Ancora mi ricordo quella strana atmosfera. Diametralmente opposti sono i Piemontesi. Dai tempi di Eugenio di Savoia, furono gli Italiani che più vissero in uno stato militaresco. Ne soffrono ancora oggi. Spesso costretti a portare una maschera, sono spesso tristi a causa dei condizionamenti imposti. Desiderano, però, nel loro profondo rompere gli schemi (non a caso sono il centro del satanismo in Italia) e lanciarsi in avventure gloriose (furono loro a riunificare l’Italia). Secondo me, Gozzano con il famoso verso “Dove ride e singhiozza il tuo Gianduia che teme gli orizzonti troppo vasti” li descrive perfettamente. La Lombardia con la sua etica giansenista e con la glorificazione del lavoro è rispecchiata perfettamente da Manzoni. Chi altri, se non un lombardo, avrebbe mai potuto scrivere un “mattone” (nel senso positivo del termine, ovviamente) come i Promessi Sposi. Invece i Friulani a metà fra Austria e Venezia vivono in sé questa distopia. Svevo, nelle sue opere, è un maestro nel descrivere la loro natura più profonda. Infine la Sicila è una terra greca. Il siculo crede solo in sé stesso e si sente un Dio. La descrizione dell’umanità fatta da Sciascia rivela sia una autostima all’eccesso che un disprezzo totale verso l’altro “Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre.” Il siculo deve comportarsi da Dio, perciò deve mantenere sempre e comunque la parola, anche a costo di rovinare la sua vita e quella delle persone più care come fa Padron ‘Ntoni nei Malavoglia di Verga. Pirandello invece è insuperabile a descrivere il conseguente stato di tensione permanente fra come il siculo è realmente e come la cultura della sua terra lo costringe ad essere. E questa tensione fa decomporre il suo io interiore, come in un caleidoscopio, in mille frammenti e sfaccettature. Cosa che rende questo popolo affascinante ed interessante.