I guai di Alfano fanno cadere Renzi?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-07-07

Le intercettazioni sul ministro dell’Interno e una fronda interna di NCD mettono in pericolo il governo. Ma in caso di ritorno alle urne potrebbe essere rinviato anche il referendum sulle riforme. Il premier potrebbe accettare la sfida minacciando il voto anticipato, anzi le elezioni politiche subito. Facendo leva sul calcolo personale dei parlamentari che puntano a restare al loro posto fino al 2018

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Da una parte le intercettazioni sul padre e sul fratello di Angelino Alfano, dall’altra la fronda interna in NCD che chiede l’addio al governo e il ritorno con Berlusconi. Il ministro dell’Interno diventa una mina vagante per Matteo Renzi e arriva a mettere a rischio l’esistenza stessa del suo governo. Una crisi ora però avrebbe conseguenze devastanti sul quadro politico perché il premier è stato chiarissimo: «Non mi presto a giochi di Palazzo, dopo di me c’è solo il voto».

I guai di Alfano fanno cadere Renzi?

E così oltre al complottone di Franceschini Renzi si trova ad affrontare la grana Alfano & fronde. Una grana di cui c’erano le avvisaglie: il 23 giugno, all’indomani dei ballottaggi alle Comunali, il governo è andato sotto in Senato su un ddl in materia di terrorismo: Ap e verdiniani votarono con l’opposizione. Alcuni interpretarono l’episodio come un segnale al governo Renzi. Oggi, spiega Dino Marturano sul Corriere, l’inchiesta sull’Operazione Labirinto riporta in auge i problemi di Renzi in Senato:

Investito politicamente (e non penalmente) dall’inchiesta della procura di Roma su tangenti e traffico di influenze nei ministeri, Alfano prova a passare al contrattacco per non restare schiacciato da quella che lui stesso definisce «un’offensiva mediatico giudiziaria contro il governo». Eppure al Senato, dove per la maggioranza i numeri sono quelli che sono, per tutta la giornata si rincorrono le voci sulla cattiva salute del governo. Che potrebbe correre un serio rischio, anche a breve. «Tra qualche giorno — teorizzava Mario Mauro di Gal — la maggioranza deve ottenere qui al Senato 161 voti sull’equilibrio di bilancio negli enti locali. Io consiglierei l’esecutivo di rimandare». E già 4 senatori verdiniani (si parla dei campani D’Anna e Falanga e dei siciliani Scavone e Compagnone) starebbero riflettendo sulla loro permanenza in maggioranza.
Un assaggio si è avuto in commissione Giustizia dove Ciro Falanga (Ala) ha detto no a tutte le proposte del Pd sulla prescrizione. Le fibrillazioni sul caso Alfano hanno innescato sommovimenti pesanti all’interno di Ap. sono 7-8 centristi (tra gli altri Esposito, Formigoni, Azzollini, Ilardi, Schifani, Gualdani) che hanno forti dubbi sulla permanenza nel governo. Il chiarimento con Alfano, comunque, non avverrebbe prima di martedì prossimo. Ma c’è anche un pezzo di partito che si è ricompattato attorno al suo leader. Oltre ai ministri Costa e Lorenzin, al capogruppo Cicchitto e al sottosegretario Gioacchino Alfano, sono molti i parlamentari centristi che si stringono attorno al ministro dell’Interno.

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Una delle carte dell’inchiesta Operazione Labirinto sui rapporti tra Giuseppe Pizza e l’Enel (Corriere della Sera, 7 luglio 2016)

Il gruppo di frondisti – almeno cinque – sarebbe infatti ormai pronto a lasciare e a dire addio al sostegno al governo. Il dissenso interno, e tutto politico, in Ncd era da tempo emerso ma l’impressione è che il caso Alfano abbia acutizzato le lacerazioni nel partito sebbene da entrambi i capigruppo – Maurizio Lupi e Renato Schifani – arrivi un compatto sostegno al ministro in merito alla vicenda delle intercettazioni dell’inchiesta. Vicenda che segna l’incontro che Alfano organizza, nel pomeriggio, nei corridoi di Montecitorio con i ‘suoi’: a loro il ministro assicura che non lascerà, che non ci sarà un ‘replay’ di quanto avvenne con Lupi, dimessosi da ministro per il ‘caso Rolex’ ma senza che, nella vicenda, fossero emersi rilievi giudiziari. Anche perché nel caso di Alfano, racconta un deputato presente all’incontro, “qui non si parla del destino personale di un ministro ma della tenuta del governo”. Quanto alle intercettazioni che riguardano suo padre, Alfano è duro già in mattinata. “E’ una barbarie, mio padre è da tempo fiaccato da una malattia neurodegenerativa che non lo rende pienamente autosufficiente”, attacca il ministro aggiungendo, in merito ai dispacci pubblicati, come sia “indegno” dare credito a “due signore che parlano, anche insultandomi” e “non so chi siano”.
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Il sondaggio di Pagnoncelli sul Corriere (6 luglio 2016)

Un assist per il rinvio del referendum?

C’è però un dato di fatto interessante che potrebbe in qualche modo fare il gioco del premier: in caso di caduta del governo e di impossibilità di formarne un altro di scopo, si andrebbe alle urne e questo potrebbe avere l’effetto di rimandare il referendum sulle riforme. Ma, scrive Marco Galluzzo sempre sul Corriere, l’ipotesi non sembra piacere molto ai renziani:

A questo punto toccherà a Renzi gestire un percorso che nelle prossime settimane — primo appuntamento in Parlamento con il provvedimento sugli enti locali — potrebbe diventare accidentato. Cedere alle richieste dei senatori di Ncd significa mostrare debolezza, non cedere significa correre il rischio di subire le conseguenze di quelli che i renziani considerano come possibili «gesti disperati». Una grana in più nel percorso verso un referendum costituzionale, ad ottobre, che in caso di crisi potrebbe anche slittare nel tempo. E questo mentre la minoranza del Pd si organizza proprio in vista del referendum e i renziani accarezzano scenari estremi: in caso di crisi una sola campagna elettorale, per il voto e per il referendum.

Goffredo De Marchis su Repubblica invece fissa la data di martedì prossimo come cartina di tornasole della capacità dei centristi di reggere l’urto delle inchieste e delle spinte centrifughe. In questa ottica Renzi potrebbe minacciare il ritorno alle urne facendo così leva sul sacro terrore di alcuni (molti…) che non vedrebbero riconfermata la poltrona in caso di elezioni:

Alfano non può essere “mollato” ora, servirà anche a rallentare l’azione dei senatori dissidenti. Si vive alla giornata, ma si osserva il calendario. Renzi sa che la data dell’incidente è già fissata: martedì prossimo, nell’aula di Palazzo Madama. Quel giorno va in votazione la riforma del bilancio degli enti locali. Non è il voto di fiducia ma un voto particolare. Serve infatti la maggioranza assoluta anzichè quella dei presenti: 161 Sì. La prova del nove per il governo che deve contare su tutte le sue forze. Se va sotto, il segnale arriva forte e chiaro. Renzi può affrontare la situazione con strumenti diversi. Da giorni, anche pubblicamente (in direzione), Dario Franceschini gli suggerisce la modifica dell’Italicum. Naturalmente, non basta parlarne sotto banco promettendola dopo il referendum. Ai centristi serve un annuncio solenne, ufficiale prima dell’estate.
Basterebbe? Non è detto, ma è una mossa. L’altra, molto più aderente allo spirito renziano, è accettare la sfida minacciando il voto anticipato, anzi le elezioni politiche subito, magari facendo slittare il referendum di ottobre. È una delle capriole che il premier considera più efficaci facendo leva sul calcolo personale dei parlamentari che puntano a restare al loro posto fino al 2018, scadenza naturale della legislatura. Capriola che funziona perché Renzi ha dimostrato di saper rovesciare il tavolo. Ma deve fare i conti con la decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il capo dello Stato non intende fare pressioni sulle modifiche della legge elettorale, modifiche che toccano al Parlamento. E soprattutto non prende in considerazione piani B, visto che il governo c’è e si trova nella pienezza dei suoi poteri. Per ora.

Ma c’è un’altra soluzione che si affaccerebbe per i frondisti: quella di formare un gruppo con altri senatori centristi dell’opposizione e magari con qualche scontento di Ala per guardare, in prospettiva, a quel modello Milano osteggiato da Alfano. Di certo, per dirla alla Formigoni, questa per i dissidenti è l’ora “dell’appoggio esterno”. Una soluzione “da irresponsabili, queste cose non si sa come finiscono”, avverte dalla Camera Fabrizio Cicchitto delineando un ulteriore contesto di pressione a Matteo Renzi: quello di un Italicum che, con il premio di coalizione, spegnerebbe certo molti bollori centristi. Ma questo darebbe ragione anche a chi, nel partito di Renzi, gli chiedeva modifiche alla legge elettorale perché altrimenti avrebbero vinto i 5 Stelle (cosa che i sondaggi confermano). Con le banche italiane in queste condizioni può permettersi Renzi il grande ritorno della politica politicante?

Leggi sull’argomento: Il complottone di Franceschini contro Renzi

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