Fact checking
Gregoretti, perché Salvini si è mandato a processo da solo
Alessandro D'Amato 21/01/2020
Editorialisti e commentatori si scatenano a spiegarci quanto sia inopportuno, inelegante, persino per nulla carino ed educato mandare Salvini a processo per sequestro di persona. Ecco perché bisognerebbe caricarli tutti su un gommone e lasciarli alla deriva
Che il voto di ieri della Giunta che ha visto Salvini mandarsi a processo da solo sia una sceneggiata ad usum cretini è provato dal fatto che prima di mettersi a scrivere Le Sue Prigioni il Capitano dovrà attendere molto. Il voto dell’Aula del Senato, l’unico che conta veramente, si dovrebbe svolgere entro il 17 febbraio. E lì il Senato dovrebbe dibattere e decidere sul merito della richiesta avanzata dal Tribunale dei ministri di Catania. Che per legge non deve occuparsi di «stupratori, spacciatori e mafiosi», come reclama Salvini nei suoi ridicoli comizi, ma è chiamato a verificare, per l’appunto, ipotetici reati ministeriali.
Gregoretti, perché Salvini si è mandato a processo da solo
Spiega oggi Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera che la questione non riguarda le scelte politiche dell’ex titolare del Viminale, bensì la loro compatibilità con il diritto e le norme, oltre che un potenziale «interesse pubblico preminente» tale da prevalere sul reato contestato. Tutto qui.
Secondo i tre giudici siciliani che compongono il collegio, infatti, «le scelte politiche o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro». Quanto alla«difesa dei confini» invocata dal leader leghista per negare ai profughi il permesso di sbarco, i giudici hanno ritenuto che «la linea politica promossa dal ministro dell’Interno non fosse, in concreto, incompatibile con il rispetto delle Convenzioni internazionali vigenti».
Secondo il tribunale, «le persone soccorse ben potevano essere tempestivamente sbarcate e avviate all’hotspot di prima accoglienza per l’attività di identificazione, salvo poi essere smistate negli hotspot di destinazione secondo gli accordi raggiunti a livello europeo».
Di tutto questo finora non si è parlato perché a Salvini non conviene e alla maggioranza di governo, composta da freddi gentlemen alle prese con un drago che sputa fuoco, pare brutto. Eppure il nocciolo della questione rimane essenzialmente questo e su questo decideranno i giudici. Già, ma quando? Spiega ancora il Corriere che qualora il fascicolo dovesse ripartire da Palazzo Madama per Catania con l’autorizzazione a procedere, si aprirebbe un altro match, stavolta solo giudiziario, anch’esso dall’esito tutt’altro che scontato:
L’iter prevede la restituzione degli atti al Tribunale dei ministri «perché continui il procedimento secondo le norme vigenti», che come ha chiarito una sentenza della Corte costituzionale nel 2002 significa tornare davanti «al pubblico ministero e agli ordinari organi giudicanti competenti». La Procura di Catania dovrebbe quindi riproporrei l capo d’imputazione formulato contro Salvini dal tribunale dei ministri e sottoporlo al giudice dell’udienza preliminare, che dovrà decidere sul rinvio a giudizio.
Con una particolarità, che diventerebbe l’ennesimo paradosso di questa storia: la Procura etnea s’era già pronunciata per l’archiviazione del caso «Gregoretti» ritenendo (a differenza che nel caso «Diciotti») che non esistano gli estremi del sequestro di persona; in sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo, oltre che soggettivo. Che farà davanti al gup? E che cosa deciderà il gup, rinvio a giudizio o proscioglimento?
Perché gli editorialisti dei giornali italiani dovrebbero essere sequestrati e lasciati a pane e acqua per una decina di giorni su un gommone
Insomma, la partita è ancora aperta. E per questo i commentatori si scatenano a spiegarci quanto sia inopportuno, inelegante, persino per nulla carino ed educato mandare Salvini a processo per sequestro di persona (se questa è una persona, direbbe Primo Levi) visto che ciò potrebbe politicamente favorirlo. Un esempio della linea dei “fiorellini per Salvini” è quanto scrive da qualche giorno (e pure oggi) Stefano Folli su Repubblica, che accusa la maggioranza e il Partito Democratico di farsi male da soli:
Il Senato in febbraio dovrà prendere la decisione definitiva sul processo a Salvini. La scelta guascona di invocare lui stesso la magistratura potrebbe essere pagata a caro prezzo se le sue tesi politiche («ho agito per fermare l’invasione, per salvaguardare i confini e l’onore nazionale») non saranno accolte. E nessuno può essere sicuro che lo siano. Salvini cammina su un filo sottile, ma anche i suoi avversari devono valutare se sia una buona idea eliminare il leader del maggior partito di opposizione in un’aula di tribunale.
Ora, se Folli leggesse il giornale che pubblica i suoi articoli oggi si imbatterebbe in un pezzo di Alessandra Ziniti in cui il comandante Carlo Giarratano ricorda le grida delle persone che si trovavano in mare: «Imploravano aiuto, la prima cosa che ci chiesero fu un secchio per buttare via l’acqua che entrava nel gommone. Mi sono sempre chiesto se uno solo dei nostri politici abbia mai sentito nel buio della notte, nell’enormità del mare, levarsi delle grida d’aiuto disperato».
Se Folli si rendesse conto delle enormità che scrive, capirebbe che lasciare a soffrire in mare privandoli della libertà 135 persone non è opportuno, inelegante e carino esattamente come mandare pòro Salvini a processo, ma in più è una crudeltà inutile che dimostra la scarsa considerazione dell’umanità di chi lo ha fatto. E quindi qualsiasi discorsetto cretino sull’opportunità politica di mandare l’avversario a processo dovrebbe prescindere da un concetto più importante: quello che non è carino sequestrare le persone in mare per ricattare l’Unione Europea. Ma magari da questo orecchio Folli non ci sentirebbe, perché la Ragion di Stato e la rava e la fava. E allora bisognerebbe approntare un gommone con opportuna scorta di gallette e dieci bottiglie di acqua potabile e caricarci sopra lui e tutti gli editorialisti che la pensano come lui, lasciarli in mare una decina di giorni e poi al rientro chiedergli se per caso vorrebbero perseguire chi ce li ha spediti o pe’ stavolta famo zero a zero che sennò politicamente ce rimettemo. Allora sì che cambierebbero idea.
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