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Generazione D, dall’affermazione del Digitale all’avvento del DNA

di Stefano Amoroso

Pubblicato il 2018-09-04

Una riflessione su società e tecnologia e su come sia complesso elaborare mappe comportamentali ed etiche nella società al crescere della complessità tecnologica. La nostra epoca ha in sorte di metabolizzare socialmente la meccanica quantistica (il digitale) e il DNA (il codice della vita)

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Questo avvio di 21esimo secolo è stato contraddistinto tecnologicamente dall’avvento massivo delle nanotecnologie soprattutto nell’ambito delle telecomunicazioni, dove la capacità di miniaturizzazione del transistor ha permesso l’affermarsi dell’era digitale. La rincorsa partiva ben oltre un secolo prima con gli studi sulla materia e sull’atomo, che hanno portato alla costruzione della Quantum Mechanics, supporto teorico e pratico per la comprensione e manipolazione dei fenomeni nel regno dell’infinitamente piccolo.

La tecnologia dell’incredibilmente piccolo

Pochi fruitori delle tecnologie emerse da questa conoscenza sono padroni delle competenze per comprendere a fondo ciò che si usa quotidianamente. L’utilizzatore di smartphone difficilmente sa realizzare un microchip (il transistor è stato ideato a metà del ‘900), editare un software o costruire uno qualsiasi dei componenti dello stesso. Analogo discorso vale per la comprensione teorica dell’elettromagnetismo o della meccanica quantistica o la destrezza con le funzioni matematiche (algoritmi) che sottendono alle operazioni possibili e alla trasmissione dati.

Penso non sia un caso che nel dibattito quotidiano sull’utilizzo dei media digitali spesso emergano teorie complottiste di controllo o manipolazioni di vario genere: sono la scorciatoia “razionale” per sfuggire alla propria ignoranza e alla non comprensione di ciò che riempie la nostra vita. E’ nella natura dell’uomo dare un nome e un significato alle cose prima di metabolizzarle all’interno della propria mappa culturale. Questa necessità ci deriva dal nostro stato evolutivo di Homo Sapiens, irriducibili ai nostri meccanismi biochimici, dotati di una coscienza simbolica che crea senso e significati (L’essere si dice in molti modi, parafrasando Aristotele). Questo abito simbolico è un misto di teoria e prassi. La teoria sono le mappe culturali che ci vengono tramandate e la prassi è l’ingrediente dovuto all’ambiente che ci spinge a rivedere la mappa, in un continuo comporre e scomporre. Quando manca la comprensione profonda, i nomi e i significati emergono dall’immaginifico, il terreno in cui irrazionale e razionale sono ancora una amalgama. E’ il meccanismo analogo a quello che spinse i nostri avi a vedere nelle manifestazioni estreme della natura, il manifestarsi di forze oscure o della collera degli dei.

Ebbene mentre la società e l’opinione pubblica sono ancora impegnati a “metabolizzare” il ciclo tecnologico emerso dal secolo scorso, sta prendendo piede la rivoluzione biologica basata sulla comprensione del codice della vita, il DNA. Anch’esso è frutto del sapere del ‘900 (il DNA rientra nel regno dell’infinitamente piccolo ma la sua comprensione è più complessa di quella dell’interazione fra atomi) ma solo a partire dal 2003 – anno in cui è stato annunciato ufficialmente il completamento del progetto del genoma umano – è entrato di fatto nella nostra vita quotidiana. E la metabolizzazione di questo ciclo tecnologico sarà ancora più complesso, perché tocca da vicino la vita e la morte. Un primo assaggio lo abbiamo avuto con il dibattito sui vaccini.
La mappatura del genoma umano è il frutto di uno sforzo scientifico e tecnologico straordinario che ha impegnato per oltre un decennio centinaia di scienziati di tutto il mondo, a fronte di uno degli investimenti più importanti realizzati nella storia dell’umanità: oltre 3 miliardi di dollari. Alla fine, questo progetto ha restituito un file della grandezza di circa 1,5 Gigabyte contenente il codice della vita dell’uomo. Questo file – e i suoi aggiornamenti – è disponibile per chiunque al link Genome Browser.

Cos’è la Generazione D

I nati nel 2003 – mi piace chiamarli la Generazione D – sono al tempo stesso i testimoni e i protagonisti della rivoluzione della biologia. Per la Generazione D la convergenza fra digitale e naturale è un dato di esperienza, fina dalla loro nascita. La codifica del genoma infatti ha tradotto le unità chimiche della vita in unità informatiche fatte di byte (1,5 Gigabyte complessivo). Il file del genoma umano è una rappresentazione convenzionale del genoma umano reale – non è uno specifico genoma – frutto del bisogno di trovare uno standard da cui partire per la comprensione del nostro genoma. Questa mappa evolverà negli anni grazie al continuo accrescere dei dati – sempre più persone sequenzieranno il proprio genoma – e al perfezionamento delle tecniche stesse di sequenziamento (oggi quella più in uso utilizza SNIPs, Single Nucleotide Polymorphisms). Detto in altre parole il DNA è un supporto chimico che soltanto le cellule possono utilizzare, la decodifica del genoma ha trasformato questo in un linguaggio digitale (fatto di 1 e 0 esattamente come qualsiasi linguaggio macchina) che così viene reso accessibile a qualsiasi PC. Ovviamente queste semplificazione mostra dei limiti, perché la vita rimane, ciò nonostante, più complessa della sua rappresentazione.

Questa immagine ci consente però di poter iniziare a comprendere e fare ipotesi circa il funzionamento del DNA reale, attraverso l’enorme potenza di calcolo dei PC. Oltre che costruire nuove tecnologie in grado di intervenire con più efficacia nel biologico. Una delle più importanti scoperte scientifiche riconducibili al ricorso alla digitalizzazione (e non dall’uso dell’osservazione “diretta”) è il DNA non codificante. Tale materiale rappresenta il 95% del nostro genoma ed è ciò che maggiormente distingue gli esseri viventi: quelli più evoluti hanno una quantità maggiore di DNA non codificante (cosa che non accade per Il DNA che codifica per proteine, il cui numero non varia così tanto fra un verme, un topo ed un uomo). Sul fronte della medicina la capacità computazionale ci sta consentendo di disegnare principi attivi efficaci su computer in grado di ridurre gli esperimenti in vitro prima di arrivare al farmaco vero e proprio. E questo è un enorme vantaggio sia in termini di costi che di efficacia terapeutica in sé.

Il destino della Generazione D

La Generazione D ha in destino di metabolizzare culturalmente il biologico che diventa digitale e il digitale che diventa biologico. Oggi c’è un apprezzamento per i materiali ottenuti a basso consumo di energia ed acqua e ottenuti da materiali biologici come ad esempio gli scarti vegetali. Già oggi è possibile compare tessuti ottenuti dalla filatura o dall’estrusione di scarti vegetali quali arancia o pomodoro. Alcuni componenti edilizi sono già ottenuti con materiali naturali. In questo modo si è iniziato un trend che sicuramente limiterà l’inquinamento da plastiche, l’utilizzo delle fonti fossili e la produzione di rifiuti non riciclabili. Con le nuove tecnologie di ingegneria applicate alla biologia stiamo dotando l’agronomia di soluzioni sempre più utili per l’uomo e l’ambiente. Risorse come il golden rice o le piante resistenti ai climi desertici posso rispettivamente contribuire a combattere la fame e la desertificazione del territorio. L’ingegneria genetica è la via maestra per debellare malattie orfane di cura e contribuire al benessere di tutti i cittadini. Tutto questo è possibile perché siamo stati in grado di conoscere anche i meccanismi più fini della natura biologica.

Ma la metabolizzazione di una tecnologia (teoria e prassi) all’interno della società prevede il costituirsi di una mappa di valori e comportamenti etici. E il DNA, come mai prima, ci pone di fronte alla nostra destinazione di esseri viventi. Chi oggi ha 15 anni si chiede se il DNA sia la versione moderna del destino, o se esistono cure in grado di invertire l’esito di una certa malattia. Se sia sicuro nutrirsi di un alimento geneticamente modificato o se l’intelligenza sia frutto di un gene più o meno espresso. O ancora, se sia possibile modificare il proprio aspetto estetico o incrementare le proprie performace intellettuali o fisiche. A queste domande, non è sufficiente rispondere riesumando l’attuale abito morale o etico oppure “la verità” delle proprie idee, dei propri interessi e delle proprie paure. L’istruzione – quella che impatta maggiormente sulla costituzione della mappa sociale – si trova in affanno a inseguire una rivoluzione tecnologica in divenire che sforna nuove applicazioni a cadenza ormai quasi settimanale.

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La scuola è migliorabile ma non è concepibile un sistema che si aggiorni in tempo reale sulle novità delle biotecnologie, quando gli stessi addetti ai lavori fanno fatica a rimanere aggiornati. Possiamo però pensare ad una scuola che discuta e condivida con i ragazzi i grandi temi legati al DNA, affrontando questioni senza data di scadenza, che rimarranno vive e importanti anche e soprattutto con il progresso delle tecnologie. Una di queste è il determinismo genetico – cioè la falsa convinzione che il nostro destino sia scritto nel DNA. Non è così, e bastano pochi esempi perché ragazzi e adulti lo capiscano. Educare alla complessità e al senso critico per evitare di leggere le notizie attraverso la lente distorta dei preconcetti è forse il migliore servizio che la scuola può fare alla generazione D. Oggi essere figli del proprio tempo significa per alcuni creare le migliori condizioni di accesso alla conoscenza, per altri iniziare a prendersi la responsabilità della costruzione della nuova mappa del mondo. Il file caricato sul Genome Browser ne è sicuramente il primo tassello: un codice di 4 “lettere” tradotte in Byte, in cui è inciso il mistero della vita, unico comune denominatore di tutti gli esseri viventi.

Stefano Amoroso, classe 1972, laurea in Filosofia, professionista della comunicazione d’impresa da 20 anni, è specializzato in comunicazione finanziaria e scientifica. Lavora come consulente o manager di imprese ed enti pubblici. Negli ultimi 10 anni è stato responsabile ufficio stampa di Edison, direttore delle relazioni esterne dell’Istituto Italiano di Tecnologia, oggi Responsabile della comunicazione di Dompé Holdings. Nel tempo libero velista di piccolo cabotaggio e runner (sempre più a fatica).

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