La scomparsa della flat tax dal DEF

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-04-10

Il testo, che è entrato con due aliquote a 15 e 20%, è uscito senza riferimenti numerici. Perché altrimenti sarebbero mancate le coperture

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La flat tax è scomparsa dal Documento di Economia e Finanza che ieri il governo ha licenziato. Mentre la campagna elettorale per le elezioni europee si fa sempre più dura , delle clausole Iva e di flat tax si è discusso nelle quattro ore di vertice fra il premier Conte, Tria e i due vicepremier Salvini e Di Maio prima del Consiglio dei ministri. Il confronto si è concentrato sulla flat tax: il testo, che è entrato con due aliquote a 15 e 20%, è uscito senza riferimenti numerici ma con la volontà che della riduzione fiscali benefici il ceto medio. Spiega oggi La Stampa:

Nella versione finale del Pnr non solo è scomparso il richiamo alle due aliquote ma anche il rimando «ai prossimi anni» e anche i riferimenti ai vincoli di bilancio risultano più sfumati. Insomma si fa un passo indietro, perché la proposta torna ad essere molto generica, ma anche uno in avanti, visto che il cantiere della flat tax si potrebbe aprire subito.

«Il Governo – è scritto così nella versione finale del Def – in linea con il Contratto di Governo, intende continuare, nel disegno di legge di Bilancio per il prossimo anno, il processo di riforma delle imposte sui redditi e di generale semplificazione del sistema fiscale, alleviando l’imposizione a carico dei ceti medi. Questo nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica». Come e con quali tempi lo scopriremo (forse) in autunno quando la legge di Bilancio dovrà prevedere misure concrete e relative coperture.

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Flat tax e DEF (Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2019)

E a spiegarci il motivo della scomparsa è oggi Repubblica:

Tria non fa una piega ma – raccontano i ministri presenti – ribatte serafico: «Bene, lo faremo, ma sappiate che non abbiamo alternative. La riduzione dell’imposta ai dipendenti anche se sotto quella soglia minima imporrà l’aumento all’Iva, sarà inevitabile». Richiama le clausole di salvaguardia da 23 miliardi che tutti lì al tavolo conoscono bene e alle quali bisognerà trovare copertura per evitare appunto l’aumento che peserebbe non poco sui consumi (si parla di 500 euro l’anno a famiglia in media).

Quelle clausole le hanno disinnescate tutti gli ultimi governi, compreso l’esecutivo Conte nella sua prima manovra. Ma se adesso bisognerà allargare i cordoni per recuperare i 12-15 miliardi necessari a favorire la tassa unica – è la tesi dei tecnici del Tesoro – allora non si potrà fare altrimenti.

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