Economia
Chi ci guadagna (davvero) con la flat tax per le partite IVA
di Dantes
Pubblicato il 2018-09-21
Una simulazione sull’applicazione della flat tax a due aliquote (15% su ricavi fino a 65.000 euro, 20% sugli ulteriori ricavi fino a 100.000 euro): quello con il reddito più alto paga meno imposte di quello con il reddito più basso
Nei giorni scorsi la CNA ha presentato le prime simulazioni sull’applicazione della flat tax a due aliquote (15% su ricavi fino a 65.000 euro, 20% sugli ulteriori ricavi fino a 100.000 euro). Premesso che definire flat una imposta con due aliquote è un evidente ossimoro e che, di fatto, la proposta del governo del cambiamento consisterebbe nel semplice ampliamento delle soglie del regime forfettario ideato dal governo Renzi, la (finta) flat tax riguarderebbe una platea potenziale di circa 650.000 partite IVA pesando per circa 3,5 miliardi sulle casse dello Stato in termini di minori entrate. Ma chi (e soprattutto quanto) ci guadagna?
Chi ci guadagna con la flat tax per le partite IVA
Le tabelle della CNA individuano risparmi di imposta tra 772 e 4.208 euro annui per artigiani e commercianti e tra 2.241 e 12.638 euro annui per i professionisti. In realtà, i calcoli della CNA non tengono conto di alcune variabili che incidono in maniera rilevante sia sui risultati della simulazione sia, soprattutto, sulla coerenza del nuovo modello forfettario. Va considerato, infatti, che artigiani e commercianti che adottano il regime forfettario possono godere di un abbattimento dei contributi previdenziali del 35%: la scelta di tale opzione, di conseguenza, determinerà un risparmio complessivo ben più elevato, stimabile tra i 1.468 e i 5.909 euro annui. Inoltre – qualora la scelta del governo cadesse sul modello simulato dalla CNA – si verrebbero a determinare effetti perversi tali da determinare, all’interno del medesimo regime di (finta) flat tax, maggiori imposte su minori redditi. Si pensi, ad esempio, a due professionisti: il primo iscritto alla gestione separata INPS (che prevede una contribuzione del 25,72%), il secondo alla cassa di previdenza dei dottori commercialisti (che contempla una contribuzione soggettiva minima del 12%).
La tabella mostra inequivocabilmente come il professionista con il reddito più alto (41.184 contro 40.557 euro) paghi meno imposte (6.178 contro 6.228 euro) del collega con il reddito più basso. È l’effetto perverso di un modello che non tiene conto che il reddito imponibile dei professionisti (e anche di artigiani e commercianti) viene determinato, anche nel modello forfettario (o flat), previa deduzione dei contributi previdenziali versati nell’anno di imposta. Tutto ciò dimostra come un modello di aliquote progressive calibrate sui ricavi (e non sui redditi) sia tecnicamente inapplicabile. Un pasticcio probabilmente dovuto alla disperata ricerca di un equilibrio tra promesse elettorali e realtà.