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Revoca o controllo pubblico: cosa decide oggi il governo su Autostrade

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-07-09

La questione va ad intrecciarsi con tutta una serie di casi che la gestione privata delle autostrade ha creato: i super guadagni e gli aumenti concessi negli anni da una politica sempre prona agli interessi dei concessionari, gli investimenti calati ad onta dei sei miliardi di dividendi distribuiti agli azionisti, la manutenzione ordinaria e straordinaria che ha latitato per secoli non certo soltanto a Genova. E allora il problema diventa politico

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Dopo un tira e molla durato due anni e una serie di penultimatum il governo Conte oggi decide sul dossier Autostrade. Sul tavolo ci sono due opzioni: la revoca o il controllo pubblico. E l’ironia della sorte è che la spinta decisiva sulla questione è stata data dall’atto dovuto della gestione del Ponte di Genovariaffidata ad ASPI. Sulla quale però potrebbero arrivare ancora novità.

Revoca o controllo pubblico: cosa decide oggi il governo su Autostrade

Riepiloghiamo i termini della questione: dopo il dramma del ponte Morandi, la revoca totale della concessione dello Stato ad Autostrade per l’Italia è stato il cavallo di battaglia del M5S (in un primo tempo appoggiato anche da Salvini). Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha però sempre frenato sull’ipotesi guardando ai pericoli di una causa giudiziaria e alla possibilità per lo Stato di dover pagare un indennizzo se le ragioni della revoca non fossero considerate valide in tribunale. Ieri però è successo qualcosa di nuovo: la Corte costituzionale
pronunciandosi sul cosiddetto decreto Genova approvato dal governo dopo la tragedia del 14 agosto 2018 ha detto che l’esclusione di Autostrade dai lavori per il nuovo ponte era legittima. La società concessionaria aveva presentato ricorso al Tar della Liguria, che ha sollevato la questione di legittimità. Spiega oggi il Corriere della Sera che in sostanza i giudici costituzionali hanno ritenuto che il legislatore, nell’immediatezza, si sia mosso come in autotutela escludendo chi, in quanto «manutentore» della struttura, poteva avere responsabilità nel suo cedimento. Senza violare i principi di ragionevolezza, né le garanzie sul «giusto processo» e a difesa della libertà imprenditoriale e di concorrenza.

In attesa della sentenza che sarà depositata nelle prossime settimane, il comunicato emesso dalla Corte lascia intendere che hanno fatto breccia le ragioni esposte dall’Avvocatura dello Stato a difesa della legge, contro le eccezioni di incostituzionalità sollevate dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria al quale si era rivolta proprio Aspi, la concessionaria Autostrade per l’Italia.

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Il governo e la revoca delle concessioni ad Autostrade (La Repubblica, 9 luglio 2020)

Tutto lecito perché «il principio della responsabilità oggettiva esiste», aveva spiegato l’avvocato Vincenzo Nunziata per conto del governo: «La presunzione della colpa in capo al custode di un bene in assenza di cause di forza maggiore è prevista dal codice civile», e nel caso del ponte Morandi il «custode» era proprio Aspi, l’ente societario con il quale il 14 agosto 2018 s’è rotto il rapporto fiduciario.

Perché secondo il legale del governo, la tragedia di due anni fa non ha colpito solo le persone e le famiglie convolte, bensì lo Stato in quanto tale; è stata compromessa la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni rivelatesi incapaci di garantire la sicurezza della circolazione. Di qui la decisione di tagliare fuori Aspi dalla ricostruzione, in base a norme eccezionali varate per fare presto.

Se la decisione della Consulta ha ritenuto legittima l’esclusione anche in base a una presunzione di colpa, è il ragionamento, questo fornisce indirettamente spazio giuridico anche per le ragioni della revoca che fa leva sugli stessi argomenti.

L’ultimatum del governo ai Benetton

Naturalmente la Consulta stessa nota che questa sia stata una decisione presa “nell’immediatezza” mentre nel caso della revoca sono passati due anni e non c’è un’urgenza legittima come la ricostruzione di uno snodo decisivo per i movimenti e l’economia del paese. In ogni caso proprio per questo, spiega oggi Repubblica, sull’onda del verdetto favorevole, la task force incaricata di concludere la trattativa lancerà un ultimatum molto chiaro: o l’azienda di proprietà della famiglia Benetton accetta il pacchetto di condizioni stabilito dai giallorossi — taglio del 5% delle tariffe sull’intera rete, 3 miliardi di transazione tombale e controllo pubblico della società — oppure si procederà con la revoca. Senza porre altro tempo in mezzo.

Sono queste le regole di ingaggio ricevute dal segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa e  dai capi di gabinetto Luigi Carbone (Tesoro) e Alberto Stancanelli (Trasporti) per chiudere una partita che si trascina ormai da mesi. Protrarla oltre non si può più, specie dopo il clamore suscitato dalla lettera con cui il Mit ha formalizzato al commissario per la ricostruzione, Marco Bucci, le procedure per riaprire il nuovo ponte di Genova, che passano per la consegna dell’infrastruttura al concessionario: ovvero, ancora oggi, Autostrade per l’Italia. Nella speranza che i termini posti dal governo risultino così indigeribili — come già è stato in passato — da far saltare il banco. E rendere più agevole la risoluzione del contratto.

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Il Ponte Morandi e la revoca di Autostrade: la cronologia degli eventi (Corriere della Sera, 9 luglio 2020)

L’opzione per la quale il premier Giuseppe Conte, incapace a lungo di decidere, sembra ora propendere. L’onda emotiva suscitata dalla notizia che il viadotto progettato da Renzo Piano possa finire nelle mani dei Benetton, lo ha molto turbato. Un colpo d’immagine difficile da parare. E imputabile principalmente a lui. A causa del suo attendismo finito nel mirino del Movimento, non solo del Pd. «Sono tre mesi che gli chiedo di chiudere i dossier, non mi ha ascoltato ed ecco il risultato», si sfoga Nicola Zingaretti: «Il bubbone Autostrade è scoppiato. E il prossimo sarà l’Ilva».

Ora, però, attenzione. Il Corriere della Sera racconta oggi che da Palazzo Chigi più volte è filtrata una richiesta non formalizzabile. Per un accordo sulla revisione della concessione il governo ritiene ineludibile uno stravolgimento dell’assetto azionario, con un cambio di controllo che porrebbe Atlantia, e quindi la famiglia Benetton, in posizione di minoranza e Cassa Depositi e un veicolo costituito ad hoc da F2i (sottoscritto da fondazioni bancarie, casse previdenziali e assicurazioni come Poste Vita) in maggioranza. Ma questa soluzione “diplomatica” che prevede il ritorno al controllo pubblico delle infrastrutture potrebbe a sua volta aprire altri contenziosi:

Si tratta di una condizione irricevibile se messa su carta perché configurerebbe un esproprio come hanno denunciato i vertici di Atlantia in una lettera indirizzata di recente al vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. È per questo che tutti i tavoli tecnici che si sono tenuti con i vertici di Autostrade, con possibili punti di caduta su una riduzione delle tariffe e maggiori investimenti sulle tratte, si sono arenati davanti alla condizione del cambio di controllo. Non perché i Benetton non abbiano già accettato di doverlo digerire ma perché non è chiaro quanto dovrebbe valere la quota che venderebbero.

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Autostrade, le concessioni dei Benetton (Il Messaggero, 28 gennaio 2020)

La questione va ad intrecciarsi con tutta una serie di casi che la gestione privata delle autostrade ha creato: i super guadagni e gli aumenti concessi negli anni da una politica sempre prona agli interessi dei concessionari, gli investimenti calati ad onta dei sei miliardi di dividendi distribuiti agli azionisti, la manutenzione ordinaria e straordinaria che ha latitato per secoli non certo soltanto a Genova. E allora il problema diventa politico: quo usque tandem?

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