Nella terra dei dervisci roteanti

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2019-07-15

Sono stato in Turchia per un convegno organizzato da una mia studentessa che adesso è associata presso una università di Ankara. Per un Professore gli allievi sono come figli e si è sempre orgogliosi del loro successo. È diventata mia studentessa per una serie di circostanze fortuite. Venticinque anni fa ero a un convegno in Bulgaria. …

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Sono stato in Turchia per un convegno organizzato da una mia studentessa che adesso è associata presso una università di Ankara. Per un Professore gli allievi sono come figli e si è sempre orgogliosi del loro successo. È diventata mia studentessa per una serie di circostanze fortuite. Venticinque anni fa ero a un convegno in Bulgaria. Durante la cena sociale, iniziò una sfida a bere rakja (la grappa bulgara) e per difendere l’onore italico (da bravo maschietto coglione) non mi ero tirato indietro. A quel tavolo era seduto anche il relatore della mia futura studentessa (un Professore turco di origine russa) che si deve essere ricordato dell’episodio di ubriachezza molesta quando 10 anni fa mi mandò una mail chiedendo se poteva venire a Firenze questa studentessa per lavorare con me per un anno. Mi disse che era innamorata dell’Italia e di Firenze in particolare. Non potevo dire di no ed accettai. Dopo aver superato lunghe ed inutili burocrazie, (per gli immigrati regolari la burocrazia è assurda ed inutilmente asfissiante), iniziò quindi un rapporto sia di lavoro che di amicizia. Molto brava ad insegnare, era immediatamente adorata dai miei studenti. Una volta trovò perfino una rosa sulla cattedra…

La Turchia è un ponte fra Europa ed Asia. Per tutta la sua storia è stato un pendolo fra queste due aree geografiche. Nella storia recente, la spinta di Ataturk verso l’Europa è stata controbilanciata da Erdogan che sta spingendo il Paese verso l’Asia e l’Islam più tradizionale. Questo è dovuto anche per colpe Europee in quanto l’Europa non ha aiutato la Turchia come avrebbe dovuto. Questa situazione la rende terra di contraddizioni: aspetti moderni quali campus efficienti (molto più che in Italia), città pulitissime, compagnia aerea efficientissima sono combinati e mischiati da momenti da terzo mondo. Non mi sono mai imbattuto in file ordinate, sempre bolge infernali. Non c’è niente da fare: il turco medio non capisce che una fila ordinata è molto più efficiente di una fila disordinata dove tutti cercano di superare l’altro a colpi di gomito. L’Islam incombe. 10 anni fa la presenza dell’Islam era molto più discreta. Adesso si sentono ovunque le preghiere rituali dei muezzin. Proprio per questo, bere alcool è forse la più facile ed evidente delle trasgressioni. Dieci anni fa mi sembrava che i giovani turchi quasi non bevessero. Adesso è invece un modo per rimarcare la differenza fra la mentalità laica della Turchia di Ataturk con il revival della mentalità fortemente conservatrice associata all’Islam. Prevarranno i laici o i nostalgici dell’Islam? La partita è molto aperta e non si sa come finirà.

Abbiamo fatto i turisti per un paio di giorni. Il museo di Ankara è fantastico. L’Anatolia è stato uno dei luoghi (insieme alla Mesopotamia e all’Egitto) dove è nata la civiltà umana. Vedere reperti di 5000 anni prima di Cristo è stato emozionante. Antiche statue Ittite e persiane facevano intuire come dovesse essere stata la vita in quei antichi villaggi dove l’homo sapiens ha mosso i primi passi verso la civiltà. Non potevo non visitare la Cappadocia. Il primo luogo visitato è stato il Lago Salato (Tuz Gölü) è uno spettacolo naturale con caratteristiche uniche. Per estensione è il secondo della Turchia e si trova a metà strada tra la città di Konya e la capitale Ankara. Per molti mesi dell’anno il lago ha una profondità di soli due metri e con il periodo estivo si ritira per centinaia di metri, lasciando una superfice di “sale grosso da cucina” su cui è possibile camminare. L’impressione, da lontano, mentre si camminava in due centimetri di acqua per centinaia di metri era quella che si stesse camminando sulle acque… La città di Konya ricorda i dervisci rotanti. Col termine derviscio ( «monaco mendicante») si indicano i discepoli di alcune confraternite islamiche che, per il loro cammino di ascesi sono chiamati a distaccarsi nell’animo dalle passioni mondane e, per conseguenza, dai beni e dalle lusinghe del mondo. Il Semà, detta anche la danza dell’estasi è tipica della Confraternita sufi fondata a Konya da Jalâl âl Dîn Rûmî nel XIII° secolo. Altamente emblematica, altamente spirituale, questa danza è l’espressione stessa della realtà divina e della realtà fenomenica, in un mondo in cui tutto, per sussistere, deve ruotare come gli atomi, come i pianeti, come il pensiero. Il Semà simbolizza l’ascesa spirituale – viaggio mistico dall’essere a Dio – in cui l’essere si dissolve ritornando poi sulla terra

 

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Questa danza ebbe importanti funzioni liturgiche nelle cerimonie d’incoronazione dei Sultani . I dervisci nella loro ricerca dell’estasi che li avvicina a Dio, ruotano a lungo su se stessi sotto la guida di un loro pir (lett. “vecchio”) che, in turco, è chiamato talora dede (nonno). La danza roteante o turbinante non viene pubblicamente eseguita in forma completa ma in certe tekkè (luoghi di raduno delle confraternite) i più anziani considerano l’uso di eseguirla equivalente alla lettura di libri che espongono i misteri del tempo antico. Contemporaneamente alla rappresentazione, un Derviscio compie un particolare esercizio interiore che ha il fondamentale compito di accelerare complessivamente la frequenza del ritmo di lavoro del proprio organismo, e impedire allo stesso tempo di creare squilibri tra le varie parti del corpo, specialmente tra il centro di “coordinazione motoria”, il centro “intellettivo” e quello “emozionale”. Dopo anni di esperienza, orientando i propri sforzi in questa direzione, pare che un Derviscio acquisisca, in uno stato di “super-coscienza”, una speciale proprietà fondata sull’equilibrio dell’attività del proprio organismo, raggiungibile per attimi via via sempre più duraturi, col fine di renderlo uno stato permanente. Questa è chiamata la “Comunione con Allah”. Ma questa zona non è caratterizzata solo dal misticismo islamico. Nella sterminata valle di Göreme si resta stupiti sia dalla morfologia delle rocce, create da un’allegra follia geologica e fantasticamente modellate dal tempo; e sia dall’ opera di scavo di case, chiese e tombe. Vi è pure la possibilità di un’ascensione in mongolfiera per ammirare il paesaggio dall’alto, con la luce radente del sole che sorge. Peccato che quando ho cercato di prenotare un ascensione, non c’era più posto.. Magnifiche sono alcune chiese rupestri nella zona a oriente di Göreme situate lungo la valle dello Zemi e sull’altura che ospita la cittadella monastica risalente ai primissimi secoli del cristianesimo. Ricorda moltissimo le chiese nelle grotte di Matera.

Tutti questi monasteri celebrano San Basilio, padre del monachesimo orientale che visse un’esperienza monastica proprio in Cappadocia. La regola che San Basilio dette ai suoi monaci vedeva nella vita monastica lo stato ideale per raggiungere la perfezione cristiana. All’eremo, tipico del primo monachesimo orientale, Basilio preferì il cenobio basato su celle o romitori autonomi, ma con luoghi di preghiera e di lavoro in comune, dando una dimensione familiare alle piccole comunità e favorendo così lo scambio e l’aiuto reciproco. Fondamentali erano sia il lavoro manuale, che rafforza il corpo, sia la preghiera, che rinfranca lo spirito, sia lo studio delle scritture, che illumina la mente. I monaci dovevano integrarsi nella vita della Chiesa e vivere inseriti nella comunità civile. Un’altra cosa che merita di essere visto sono le città sotterranee. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, poco o nulla si sapeva delle città sotterranee della Turchia. Poi un uomo decise di ristrutturare la sua casa antica. Nascosta dietro una parete della cantina, scoprì una camera di cui aveva ignorato l’esistenza. E venne alla luce un’intera città. Quella camera “clandestina” era soltanto l’inizio di un gigantesco sistema di tunnel che si estendeva nel sottosuolo suddiviso in diversi livelli, piani sovrapposti muniti di cisterne, ampie sale, scale, panche, pilastri e canali di areazione.

 


 

Le città sotterranee ricordano l’anticamera dell’Ade. Veri e propri labirinti fatti di tunnel, ripide scale, stanze e nicchie. Ci sono giganteschi massi di forma discoidale che fungevano da porte blindate, sigillando l’accesso alla città nei punti strategici e proteggendola da un’eventuale penetrazione nemica. Questi massi discoidali pesano tonnellate ed erano così costruiti che, una volta spinti in posizione di chiusura ingresso, non potevano essere rimossi dall’esterno ma soltanto da chi si trovava all’interno della grotta. Un indizio più che evidente della funzione primaria di queste città sotterranee, quella di rifugio sicuro contro attacchi ostili. Più si scende in profondità, e più il numero delle camere diminuisce, mentre aumenta invece la loro ampiezza. Di queste città sotterranee ne parlò Senofonte che raccontò di come i Frigi, per sfuggire all’arrivo imminente del persiano Ciro (VI secolo a.C.), abbandonarono le loro città e si rifugiarono sulle montagne. Ed è probabile che queste popolazioni abbiano iniziato già alcuni secoli prima, per difendersi dagli attacchi degli Assiri, a costruire il sistema di tunnel sotterranei. I rifugi possono aver assunto la funzione di città anche per un periodo abbastanza lungo. Una sorta di “bunker” del passato, in cui le persone dovevano avere la possibilità di continuare la loro vita di sempre in sicurezza, partecipando alle funzioni religiose, occupandosi dell’istruzione dei figli, organizzando assemblee e feste della comunità. Ovviamente visitando la Cappadocia uno non può evitare i mercatini. I tappeti costituiscono una grande attrazione sia per il manufatto in sé che per l’abilità dei venditori. Una vera arte: srotolano e fanno roteare i tappeti in un modo incredibilmente virtuoso.

foto di copertina via instagram

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