Cosa vuole fare Trump in Siria?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-04-07

Al di là dei proclami bellicosi sembra sempre più evidente che Donald Trump non ha alcuna intenzione di rovesciare Bashar al-Assad. L’attacco missilistico alla base aerea di Shayrat è stata solo una rappresaglia per il bombardamento di martedì ma per il momento l’Amministrazione USA non darà fastidio né ad Assad né ai russi

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Il Presidente USA Donald Trump ha deciso ieri notte di ordinare un attacco missilistico verso la base aerea di Shayrat nella provincia di Homs. Secondo l’intelligence statunitense si tratta della base aerea dalla quale è partito il raid che verso la città ribelle di Khan Sheikhoun nel quale hanno perso la vita almeno 86 civili (tra i quali diversi bambini). L’attacco è partito dalla USS Porter e dalla USS Ross, due cacciatorpedinieri della classe Arleigh Burke che incrociano nelle acque del Mediterraneo orientale e che hanno lanciato una cinquantina di missili Tomahawk.

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La base di Shayrat (foto da: Google Maps)

Perché gli USA hanno bombardato la Siria questa notte?

Secondo i russi però l’attacco americano è stato un mezzo fallimento: “la base aerea siriana di Shayrat” – ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov – “è stata raggiunta solo da 23 missili” mentre per quanto riguarda i restanti Tomahawk lanciati contro l’obiettivo “il luogo in cui sono caduti gli altri 36 missili da crociera è sconosciuto”. Secondo i russi nel complesso “l’efficacia bellica del massiccio attacco missilistico americano alla base siriana è estremamente bassa”, ovvero non sono stati creati danni tali da impedire il normale svolgimento delle operazioni militari nella base aerea. C’è però da dire che giovedì i russi erano stati avvertiti dell’attacco dagli USA, proprio per evitare incidenti e nonostante questo secondo la CNN non avrebbero schierato le difese antiaeree. Secondo il capitano Jeff Davis, portavoce del Pentagono, la base di Sharyat era nota per essere stata usata come sito di stoccaggio di armi chimiche fino al 2013 e nel bombardamento di questa notte diverse infrastrutture e aeroplani sono rimasti distrutti o seriamente danneggiati “diminuendo la capacità del regime siriano di condurre altri attacchi aerei”. Obiettivo del raid missilistico statunitense sono stati hangar, depositi di carburante e munizioni, difese antiaeree e radar. Non è stata colpita la pista (cosa che secondo alcuni proverebbe la totale inefficacia dell’attacco) e nemmeno i possibili depositi di armi chimiche per non causare una fuoriuscita di materiale.


Lo scopo dell’attacco, secondo il Pentagono, era quello di dissuadere il regime dall’usare di nuovo le armi chimiche. Per questo motivo gli americani sostengono di aver voluto limitare al minimo il rischio di vittime (secondo alcuni report sei soldati siriani sarebbero rimasti uccisi) e per questo non è stata bersagliata la base russa che si trova all’interno dell’aeroporto. Per giustificare la scelta dell’obiettivo il Pentagono ha anche diffuso alcune immagini che dimostrerebbero il tracciato del percorso seguito dai bombardieri siriani per attaccare Khan Sheikhoun.

Trump non ha una strategia sulla Siria

Queste però sono le uniche “prove” concrete in mano all’Amministrazione statunitense. Del resto che siano stati i siriani a bombardare la città non lo negano nemmeno i russi mentre è ancora tutto da provare – anche se ci sono molti indizi – l’utilizzo del gas Sarin sulla popolazione civile. Ma questo non vuol dire che Assad smetterà di uccidere i cittadini siriani, anche perché nonostante il ricorso alle armi chimiche l’esercito siriano preferisce utilizzare strumenti militari più convenzionali che provocano un ormai molto ridotto impatto emotivo sull’opinione pubblica internazionale. L’attacco missilistico di questa notte quindi non mira a destabilizzare il regime di Assad ed in fondo un semplice bombardamento non è in grado di ottenere quel risultato ma solo di limitare le capacità operative dell’aviazione per evitare che si compiano altre stragi (con i gas). Trump quindi non ha voluto lanciare un messaggio né a Bashar al-Assad né tanto meno alla Russia o a Putin. Vale la pena ricordare che attualmente Putin ha di recente rinforzato l’alleanza con Erdogan anche se nel 2015 i turchi hanno abbattuto due caccia russi in volo sulla Siria (e la Turchia ha invaso coni carri armati alcune porzioni di territorio siriano).

C’è chi sostiene – come ad esempio il giornalista del Financial Times Hugo Dixon – che questo attacco porti tutti i segni del modo di Donald Trump di condurre l’azione politica sia a livello amministrativo che militare. Trump sarebbe una persona estremamente frettolosa che si fa trasportare dall’emozione del momento e non è in grado (pare) di riflettere bene sulle azioni da intraprendere.  Un esempio in questo senso è la gestione del travel ban, l’ordine esecutivo che il Presidente ha firmato senza ricorrere – come è prassi – alla consultazione delle forze politiche e degli organi costituzionali statunitensi. Secondo questa visione dei fatti Trump potrebbe accontentarsi di questa sorta di rappresaglia e non avrebbe intenzione di impegnarsi in un conflitto armato contro Assad. Se Trump avesse atteso l’esito dell’inchiesta dell’ONU probabilmente l’azione avrebbe avuto una portata politica diversa, mentre in questo modo coloro che continuano ad insinuare dubbi sulla responsabilità di Assad possono continuare a recitare la parte delle vittime. Questa linea d’azione è confermata anche da alcuni funzionari statunitensi che a Yahoo News hanno detto che Trump non starebbe in alcun modo considerando l’eventualità di un rovesciamento del regime siriano e la conseguente deposizione di Assad. Anche perché su questa strada il percorso è al momento sbarrato da Putin che sostiene il regime di Assad e quindi una guerra in Siria dovrà fare i conti prima o poi con la Russia, ma questo attacco missilistico difficilmente scatenerà la Terza Guerra Mondiale come temono alcuni. Fino a che Trump non troverà il modo di convincere Putin a fermare Assad tutto quello che possiamo aspettarci dagli USA è questo genere di azioni che non destabilizzano il potere del Presidente siriano. Il Presidente USA invece non è in grado di agire in solitaria ma ha bisogno del sostegno della comunità internazionale che a sua volta potrà esercitare pressioni su Putin per convincerlo a fare dei passi indietro. Al momento però Trump però non è uno dei leader occidentali più apprezzati e le sue parole contro l’Europa non sono state dimenticate (i britannici, notoriamente propensi a immischiarsi in ogni conflitto invece al momento hanno altri problemi). D’altra parte è innegabile che sul mercato interno dei consensi il Presidente USA grazie a questa mossa – in sé poco dispendiosa – ha dimostrato ai suoi elettori di “non essere come Obama” e di essere uno con la schiena dritta che non tollera i soprusi sulla popolazione civile (a patto ovviamente che vengano usate armi chimiche).

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