Travaglio contro Bonini, il secondo round

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-08-11

Ieri, come d’abitudine a Ferragosto, Carlo Bonini ha aperto il fronte con Marco Travaglio andando all’attacco su Repubblica del direttore del Fatto. Oggi, come d’abitudine, la seconda puntata prevedeva la risposta di Travaglio e la risposta è arrivata con un editoriale intitolato “Il metodo Repubblica”. E che la questione tra i due sia personale oltre …

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Ieri, come d’abitudine a Ferragosto, Carlo Bonini ha aperto il fronte con Marco Travaglio andando all’attacco su Repubblica del direttore del Fatto. Oggi, come d’abitudine, la seconda puntata prevedeva la risposta di Travaglio e la risposta è arrivata con un editoriale intitolato “Il metodo Repubblica”. E che la questione tra i due sia personale oltre che editoriale lo spiega che nell’articolo Travaglio rivela particolari inediti sulla querelle che lo portò a litigare con Giuseppe D’Avanzo ma anche, racconta lui, a chiarirsi con la firma storica del giornalismo italiano prima della morte di quest’ultimo. Vediamo come racconta i fatti Travaglio:

Invitato da Fabio Fazio a presentare un libro su Rai1, ricordai che l’allora presidente del Senato, Renato Schifani, aveva avuto rapporti amicali e societari con personaggi poi finiti nei guai per mafia. Repubblica – per la penna di un collega che non nomino perché non c’è più e io, diversamente da C.B., rispetto i morti– mi attaccò per dire che le mie accuse erano vecchie e archiviate (non era vero: Schifani fu subito dopo reindagato per mafia, e lo rimase a lungo); per smontare il presunto “metodo Travaglio”; e per insinuare che un mafioso avesse pagato le mie ferie in Sicilia. Dimostrai sia di aver raccontato fatti veri sia – ricevute alla mano (disponibili sul web) di aver pagato le mie vacanze fino all’ultimo cent. L’incidente si chiuse anni dopo con un chiarimento fra me e il collega che di lì a poco sarebbe scomparso.

La ricostruzione di Travaglio è però ingiusta nei confronti di Giuseppe D’Avanzo, il quale mai e poi mai tentò di far passare Travaglio come uno a cui la mafia aveva pagato le vacanze: è l’esatto contrario.

carlo bonini marco travaglio

Nel famoso articolo che diede il via alla polemica D’Avanzo mise a confronto quello che aveva raccontato Travaglio su Schifani con quello che veniva raccontato nelle carte giudiziarie in un’indagine per mafia:

8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei “cuscini”. Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un’ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l’avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l’albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.

Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d’ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.

Ora, attenzione. A prescindere dalla veridicità di quanto raccontato dall’avvocato del mafioso, D’Avanzo stava illustrando un metodo. Ovvero, stava dicendo che si poteva malignare ad libitum sui “cuscini” mancanti nel luogo di villeggiatura di Travaglio pensando a un messaggio in codice e dire, senza dirlo, che Travaglio si faceva pagare le vacanze dai mafiosi.

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Giuseppe D’Avanzo

Il che era scorretto perché Travaglio all’epoca nulla sapeva del coinvolgimento in indagini delle persone che aveva conosciuto e questo spiegò all’epoca D’Avanzo nel paragrafo successivo dell’articolo:

Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all’integrità di Marco Travaglio un’ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?

Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'”agenzia del risentimento” potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che “la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso” . Basta dare per scontato il “fatto”, che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.

E concludeva:

Cari lettori, anche Travaglio può essere travolto dal “metodo Travaglio”. Travaglio – temo – non ha alcun interesse a raccontarvelo (ecco la sua insincerità) e io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque.

Non c’è nessun dubbio che D’Avanzo stesse illustrando una critica nei confronti del giornalismo di Travaglio in occasione del caso Schifani prendendo ad esempio un aneddoto senza alcun significato particolare e dicendo che questo poteva essere manipolato per danneggiare Travaglio, anche se non c’era nulla di male in quanto raccontato. Travaglio, dicendo che D’Avanzo voleva insinuare che lui si facesse pagare le vacanze in Sicilia dai mafiosi, dimostra di non aver ancora capito, ad anni di distanza, che il giornalista di Repubblica voleva solo, a torto o a ragione (per chi scrive: a ragione), criticarlo.

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Carlo Bonini

In ogni caso è bello che Travaglio faccia sapere di essersi infine chiarito con D’Avanzo, anche se ci pare difficile che D’Avanzo si sia scusato con Travaglio o abbia ammesso un torto che non aveva. E in ogni caso lui non lo scrive parlando solo di chiarimento e visto che D’Avanzo nel frattempo è morto è giusto che la storia si concluda così. Il direttore del Fatto però non rinuncia a dire qualcosa in più su D’Avanzo, che aveva firmato tonnellate di articoli insieme a Carlo Bonini:

Nella prossima seduta spiritica, potrebbe domandare al collega scomparso perché negli ultimi mesi non firmava più i pezzi con lui e gli aveva levato il saluto. Per il metodo Travaglio, o per il metodo Woodcock, o per il metodo C.B., o per il metodo Repubblica? Ah saperlo.

Ma Travaglio risponde anche nel merito a quanto scritto ieri da Bonini, tornando però a confondere i piani: mentre ieri il giornalista di Repubblica gli ricordava di cosa si parlasse nel suo lavoro a proposito della vicenda, Travaglio continua a citare altri articoli di Repubblica che, a suo dire, confondono i piani della vicenda:

Temo invece che continuerò a tenere un archivio di documenti e “ritagli di giornale”, anche se la cosa irrita C.B.. È un vizio di noi giornalisti fascistoidi per ricordarci le cose. Che ora mi consente di smontare il penoso tentativo di C.B. di smarcarsi dalla campagna sui troll russi contro il Colle: “Travaglio frulla il tutto e fa dire a Repubblica quel che non ha mai scritto: Putin dietro l’aggressione a Mattarella… Repubblica non cita mai la Russia di Putin né la fabbrica dei troll di San Pietroburgo”. Che strano. Eppure conservo tre pezzi di Repubblica nell’ultima settimana intitolati: “Dalla propaganda di Putin 1500 tweet per Lega e 5Stelle”, “Una pioggia sui social in arrivo da San Pietroburgo”, “Il Pd nel mirino dei troll russi”. Non “ritagli di giornale manipolati a sostegno di una tesi”: ma articoli stampati su carta di Re pubblica(che “frulla”, lei sì, casi diversi – lo scandalo Manafort e il caso Mattarella – per montare la panna, “intossicando”, lei sì, l’opinione pubblica che finisce per non distinguere più il vero dal falso). Più un pezzo di Repubblica.it sui tweet anti-Mattarella “dietro i quali si sospetta possa esserci l’azione dei russi”.

E poi torna su un suo grande classico:

O quando sparò in prima pagina:“M5S, le chat che smentiscono Di Maio. Scrisse a Raggi: ‘Marra è uno dei miei’”, “Di Maio garante di Marra. Ha mentito,la prova è nelle chat.”. Poi si scoprì che le chat Di Maio-Raggi su Marra erano state manipolate da Repubblica e altri giornali col taglia e cuci per far dire al capo 5S il contrario di quanto diceva. Sarà mica per questo che C.B. ha tanto in uggia gli archivi?

Ma su questo continua ad esserci un problema. Quelle chat non furono “manipolate” da Corriere, Repubblica e Messaggero (anche se il M5S li accusò di averlo fatto). Le chat complete tra Raggi e Di Maio si trovavano sui loro cellulari; quello pubblicata dai tre giornali era invece il messaggio che Raggi aveva inoltrato a Marra, evidentemente selezionando quello che voleva inviare all’allora vicecapo di gabinetto della Giunta. Se c’è qualcuno da accusare per la manipolazione (ma non c’è stata alcuna manipolazione, lo precisiamo) è Virginia Raggi.

Leggi sull’argomento: La rissa tra Bonini e Travaglio sui troll di Mattarella

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