Scissione M5S: come procede la rivolta dei senatori grillini contro Di Maio

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-09-26

I senatori prima firmano e poi smentiscono. Intanto c’è chi se ne va con Renzi e chi prepara le valigie per trasferirsi da Salvini. E chi fa mancare i voti in commissione per dare un segnale. Mentre le ex ministre non confermate sono sul piede di guerra. E chiedono di togliere poteri a Di Maio

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«C’è stata una strumentalizzazione non solo giornalistica di una bellissima operazione di democrazia e di partecipazione»: per il senatore Emanuele Dessì, che ne parla con il Corriere della Sera, nel MoVimento 5 Stelle va tutto bene madama la marchesa e come al solito è colpa dei giornalisti e di qualcun altro. Nella realtà invece il clima interno al M5S è sempre più esplosivo e sul banco degli accusati c’è Luigi Di Maio, che mai come oggi sente traballare il suo potere più o meno assoluto.

Scissione M5S: come procede la rivolta dei senatori grillini contro Di Maio

La parola “scissione“, sdoganata dopo l’operazione di Renzi che ha dato il via a Italia Viva – e ieri ha visto aderire al nuovo gruppo anche una senatrice eletta con i grillini, ovvero Gelsomina Silvia Vono – non è più un tabù. E soprattutto parte da lontano: dalla clamorosa scoppola da sei milioni di voti in meno presa alle elezioni europee e da agosto, quando, in contemporanea con la crisi di governo, una pattuglia di senatori ha preparato un documento per chiedere modifiche alla regole e ai poteri di Di Maio. Poi la mozione è stata fermata. Ma la questione è riesplosa con la formazione del governo giallorosso: da un lato gli ortodossi hanno trovato un equilibrio con Di Maio, dall’altro però è cresciuto il numero degli scontenti un tempo vicini al capo politico.

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La galassia M5S (Corriere della Sera, 26 settembre 2019)

L’assemblea di martedì ha poi sancito la rottura: è vero che i 70 senatori firmatari del documento interno non hanno esplicitamente chiesto le dimissioni di Di Maio, ma è anche vero che il documento chiedeva una modifica del regolamento interno grillino (e dello Statuto) per limitare i suoi poteri di Capo Politico in maniera decisiva.

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Tra i senatori c’è chi getta acqua sul fuoco come Dessì e chi con i giornalisti parla esplicitamente di addio di Di Maio, anche se poi smentisce o dimentica alla prima occasione pubblica. Ma questo è tipico dei grillini. La questione va a intrecciarsi con una diaspora annunciata a destra come a sinistra: da una parte Salvini e Crippa favoleggiano di venti senatori pronti a lasciare, dall’altra (Renzi) c’è chi ne annuncia cinque. Alessandro Trocino sul Corriere della Sera spiega che per ora si tratta di voci, che però vengono prese molto sul serio:

Ma sono voci, ipotesi che si rincorrono, decisioni che vertono su situazioni personali più che correnti organizzate e gruppi di potere pronti a spostarsi. Per provare a vedere se l’incendio Di Maio invita i suoi a «registrare le conversazioni, se qualcuno viene a fare delle avances». Per capire se l’incendio si spegnerà, bisognerà attendere l’elezione del nuovo capogruppo in Senato (possibile Danilo Toninelli) e i dieci «facilitatori», che si andranno ad affiancare ai referenti regionali, in quella riorganizzazione lanciata a febbraio e poi impantanata.

Il M5S perde pezzi in Parlamento

Luca De Carolis sul Fatto spiega che ieri Mario Michele Giarrusso, infuriato per non essere stato nominato sottosegretario, si è astenuto in commissione sul provvedimento anti-riciclaggio.

“C’è un grave problema nel merito”, si è giustificato. Ma rimane a rischio uscita. Mentre Gianluigi Paragone torna a smentire: “Non ho alcuna intenzione di lasciare il Movimento”. Però dopo l’addio della Vono ora si teme per un altro senatore, “inquieto”. E poi ci sono quelle voci da Montecitorio, su un gruppo di peones pronti ad andare con Salvini. “Sarebbe un’idiozia” infierisce un big della Camera. Ma i contatti ci sono. E ALLORA la palla torna al capo, a Di Maio. Pronto a calare “i 12 facilitatori” per quella che sarà una sorta di segreteria nazionale. La prima risposta dal leader che martedì, dicono, si era agitato molto appena appreso dell’assemblea in Senato. E non a torto, a occhio.

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La nuova struttura sarebbe un organismo di 12 componenti integrato d’ufficio dai due capigruppo di Camera e Senato e dal garante Beppe Grillo. Simone Canettieri sul Messaggero parla di una cena tra Barbara Lezzi e Giulia Grillo, ex ministre finite senza poltrona dopo il rimpasto di Di Maio:

Il clima è esplosivo. Il pranzo nei pressi della Camera tra Barbara Lezzi e Giulia Grillo, ex ministre del governo gialloverde non confermate, diventa un piccolo, grande caso politico. Entrambe sono molto deluse per il trattamento ricevuto da Di Maio e ne contestano la leadership, entrambe hanno seguito territoriale (in Puglia e Sicilia) e invocano il ritorno di Beppe Grillo.

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La stessa Grillo ha saputo che non sarebbe stata confermata al ministero della Salute trenta minuti prima che il premier Conte salisse al Colle con la lista della squadra.

L’avviso: un telegrafico messaggio di Luigi Di Maio. Nessuna sorpresa, però. La parlamentare M5S,  d’altronde, da mesi si lamentava di non essere coinvolta nelle scelte dei vertici (così come Danilo Toninelli), una scarsa attenzione che il Capo politico avrebbe dimostrato anche nei confronti del suo dicastero. Adesso è tornata deputata semplice. Ma l’amaro per il trattamento ricevuto c’è ancora. Una questione personale che si salda con il caos di queste ore dentro il M5S con Di Maio sul banco degli imputati: «Nasciamo come movimento leaderless – dice Grillo al Messaggero – per questo motivo, i veri leader sono i partecipanti. Chi si spende, chi porta avanti il progetto in ogni sua declinazione».

Tradotto: Di Maio non è il leader. Eppure ha troppo potere. Bisogna limitarlo.

EDIT 28 settembre: Giarrusso ha scritto al Fatto che lo aveva citato nell’articolo qui riportato:

Vi scrivo a seguito della pubblicazione in data 27 settembre 2019 sul quotidiano IlFattoQuotidiano.it di un articolo dal titolo “Il MsS perde pezzi in Parlamento: la senatrice Vono se ne va con Renzi”. L’articolo, nel riportare la notizia del passaggio ad altro gruppo della senatrice Vono, inserisce notizie false, infamanti e destituite di ogni minimo fondamento, riguardanti lo scrivente. È infatti, destituito di ogni fondamento il seguente passaggio “però ieri Mario Giarrusso, infuriato per non essere stato nominato sottosegretario, si è astenuto in commissione giustizia sul provvedimento antiriciclaggio”.

Interpellato dal giornalista sul punto, avevo motivato il mio voto, specificando che avevo condiviso le obiezioni sollevate dal collega Senatore Piero Grasso, che riferiva di pesanti obiezioni che erano state avanzate sul provvedimento, sia dalla Direzione Nazionale Antimafia che dalla UIF. Risulta quindi falso e infamante, quanto riferito nell’articolo, per di più all’interno di una cornice del tutto fuori luogo (l’abbandono del gruppo da parte di una collega), volto a creare una suggestione nei lettori in ordine alla motivazione della mia posizione (peraltro condivisa da altri colleghi).

Da quando sono in parlamento, ogni mia azione giusta o sbagliata, è sempre stata orientata al contrasto, senza sconti, alle mafie. Vi chiedo dunque di voler provvedere, ai sensi dell’art. 8 Legge 47/1948, alla rettifica di quanto riportato nel citato articolo, comunicandovi che, in difetto, intraprenderò le azioni previste dalla vigente legge sulla stampa e che in ogni caso ho dato mandato ai miei legali di sottoporre il vostro articolo alla magistratura competente per leiniziative necessarie volte a tutelare la mia reputazione personale.

La risposta di De Carolis:

Due precisazioni. La prima: nonostante Giarrusso scriva di essere stato “interpellato dal giornalista”, io e lui non ci siamo sentiti prima della stesura del pezzo. La seconda: nell’articolo a cui il senatore fa riferimento, riguardante la sua astensione, ho riportato un suo virgolettato di spiegazione diffuso dall’agenzia AdnKronos alle 20.06 del 25 settembre: “C’è un grave problema nel merito”.

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