Opinioni
Salvini, De Luca e il copyright del “celodurismo”
di Antonella Grippo
Pubblicato il 2020-06-12
In principio fu Umberto, il senatùr, la cui canottiera lasciava inabbronzato un pezzo di cingolo pettorale. Il ruvido indumento, in realtà, alludeva all’antropologia del carpentiere padano, incline all’utilizzo di cazzuola, calcestruzzo, coccio pesto e pozzolana. Il Verbo di Bossi, così abbigliato, accese turgori maschi, precedentemente taciuti ed omessi, da Grezzago a Brembate di Sotto. Il […]
In principio fu Umberto, il senatùr, la cui canottiera lasciava inabbronzato un pezzo di cingolo pettorale. Il ruvido indumento, in realtà, alludeva all’antropologia del carpentiere padano, incline all’utilizzo di cazzuola, calcestruzzo, coccio pesto e pozzolana. Il Verbo di Bossi, così abbigliato, accese turgori maschi, precedentemente taciuti ed omessi, da Grezzago a Brembate di Sotto. Il “celodurismo”, nella sua versione primigenia, mosse alla conquista del Nord, a bordo del grido di battaglia “Roma ladrona”. Il sentire celtico si espanse in ogni dove, come una sorta di patriottismo cazzuto del “particulare” lombardo, di chiara ispirazione antinazionalista. Una figata indipendentista mica da ridere!
Nel 2013, l’avvento di Matteo. Il Nostro, di lì a poco, dopo aver dismesso valbrembanesimo, ampolle del Po, elmetti vichinghi ed empiti di secessione, viola il target d’origine, per una nuova acchiappanza elettorale: il capocantiere di Battipaglia e (perché no?) il geometra del catasto di Melicuccà. Salvini, attraverso un triplo salto mortale carpiato, issa il vessillo del nazionalismo, prima dileggiato. A tal fine, rivaluta sia De Benoist che il suo contrario, quell’Alvin Rabushka, inventore della flat tax, discepolo dell’ultraliberista Milton Friedman. Come dire: pere, mele e barbabietole unite nella lotta, senza distinzioni di sorta. Ma tant’è.
Ad ogni modo, le elezioni politiche del 2018 premiano il Carroccio e gli conferiscono la golden share del centrodestra.
La vicenda politica che ne consegue, con il Papeete Beach d’Agosto che fa da spartiacque, è nota ai più. La parabola di Matteo, stanti le cronache recentissime, sembra essere destinata a fortune non propriamente fulgide. A sud, per esempio, nel perimetro dei governi regionali, la Lega non tocca palla. In Calabria, gli emuli di Alberto da Giussano, dopo aver promesso rivolgimenti epocali, sono stati derubricati a “ragazzi di bottega” di Jole Santelli, forzista italica che tiene tutti per le palle. In Sicilia c’è Musumeci, postmissino e uomo di Giorgia.
Puglia e Campania, invece, andranno al voto a settembre. E qui l’affare si complica. Lungo il Tavoliere e dintorni correrà Fitto, altro fratellastro tricolore. Forza Italia, dal suo canto, ha già appaltato la postazione di Governo a Caldoro o chi per lui, per una battaglia difficilissima contro il poderoso Vincenzo De Luca. Sì, proprio quel De Luca, che sul piano simbolico è il vero contraltare del leghismo. Con lo sceriffo non si scherza! Hai voglia di richiamare in servizio tutto l’armamentario evocativo di Pontida. Lui, nerboruto eroe del lanciafiamme, ti ha già fottuto il copyright del “ce l’ho duro”, scavalcandoti a mancina. Con inaudito vigore. Altro che elmetto vichingo e protuberanze omeriche da muratore di Rozzano. Con Vincenzo siamo al trionfo del Testosterone Ontologico, in grado di rapire persino l’immaginario dei forestali di Benevento.
Esistono nemesi storiche di straordinaria ironìa. Il popolo è capace di sottili perfidie. Compreso quello dei periti agrari di NordEst, in combutta, da tempo, con certo Luca Zaia da Conegliano.