Perché il PD di Zingaretti e Gentiloni non ha niente da festeggiare

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-05-27

La scoppola del Piemonte e il mancato raggiungimento del 25% pesano sul risultato elettorale dei democratici

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La foto di Nicola Zingaretti e del suo grande elettore Paolo Gentiloni che sorridono dopo gli exit poll delle elezioni europee, fatta circolare ieri sera dal Partito Democratico, non pare proprio quella più opportuna per commentare i risultati finali. Perché da questa tornata elettorale il PD esce sì con una percentuale di voti (vedremo poi i numeri assoluti) più alta di quella delle elezioni politiche di un anno fa, ma non arriva al 25% e soprattutto perde il Piemonte.

Perché il PD di Zingaretti e Gentiloni non ha niente da festeggiare

Il PD torna un fattore nella politica italiana, a poco più di un anno dalle disastrose elezioni politiche. Se le prime proiezioni verranno confermate il partito democratico sarà la seconda forza del Paese dietro la Lega travolgente, collocato sopra il 21%. Diversi punti oltre il 19 per cento del 4 marzo scorso. Soprattutto davanti al M5S che lo aveva umiliato un anno fa. Nicola Zingaretti, dopo il plebiscito dalle primarie nemmeno tre mesi fa, esulta nella sua stanza con Paolo Gentiloni, ultimo premier Pd. “Torniamo a crescere dopo 5 anni”, dicono dall’entourage del leader. E fin qui ci siamo.

partito democratico

Il punto è che il Partito Democratico non riesce ad arrivare neppure al 23% a fronte di un calo epocale del MoVimento 5 Stelle a cui doveva riprendere i voti “di sinistra”. Segno che mentre i grillini “di destra” hanno riconosciuto il padrone e sono andati decisi da Salvini, quelli di sinistra e grillini non si fidano di Zingaretti. E dal punto di vista numerico, alle politiche del 4 marzo 2018 il PD prese 6.134.896 voti. Alle Europee di ieri, 6.082.723.

La scoppola del Piemonte

In tutto ciò si inserisce il Piemonte, dove per gli exit poll del Consorzio Opinio Italia per Rai è in testa il candidato Alberto Cirio, tra il 45% e il 49%, sul governatore uscente Sergio Chiamparino (Pd) che è dato tra 36,5% e il 40,5%. Se domani i dati reali confermassero le anticipazioni, il Piemonte sarebbe la quarta regione, andata al voto dall’inizio del 2019, a cambiare casacca: il 10 febbraio scorso la coalizione di centrodestra, guidata da Marco Marsilio, ha ‘strappato’ l’Abruzzo alla precedente giunta di centrosinistra. Il 24 febbraio è stata la volta della Sardegna, prima di allora guidata dal governatore dem Francesco Pigliaru, e passata al centrodestra con il successo del neopresidente Christian Solinas. Ancora, il 24 marzo le elezioni in Basilicata hanno decretato la vittoria del centrodestra, con il neopresidente Vito Bardi, sulla giunta di centrosinistra uscente.

Alle Regioni passate negli ultimi mesi al centrodestra, si aggiungono quelle dove già governava: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Molise, Veneto, Sicilia. In questo campo può collocarsi anche il Trentino-Alto Adige con le giunte del presidente della provincia di Bolzano Arno Kompatscher (Südtiroler Volkspartei – Lega Salvini Alto Adige-Südtirol) e del presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti (Lega). Mentre la Regione Valle d’Aosta, con il governatore Antonio Fosson (Pour Notre Vallée), è a guida autonomista. Restano al centrosinistra Lazio, Marche, Campania, Calabria, Emilia Romagna, Puglia, Toscana e Umbria dove l’ormai ex presidente dem Catiuscia Marini si è dimessa dopo essere stata travolta dalla bufera dell’inchiesta sulla sanità. Proprio in Umbria si profilano dunque le elezioni anticipate in autunno quando si voterà anche in Calabria ed Emilia Romagna.

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