«Renzi si annoia ai consigli europei»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-01-25

Il Corriere della Sera pubblica oggi la seconda parte di un’inchiesta di Paolo Valentino sui rapporti tra Italia ed Europa. Un funzionario di Bruxelles racconta di un’Italia che “probabilmente ha ragione nel 70%” delle lamentele nei confronti dell’Unione Europea, ma anche in un certo senso incapace di incidere sui dossier

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Il Corriere della Sera pubblica oggi la seconda parte di un’inchiesta di Paolo Valentino sui rapporti tra Italia ed Europa. A parlare è un funzionario di Bruxelles che ci racconta di un’Italia che “probabilmente ha ragione nel 70%” delle lamentele nei confronti dell’Unione Europea, ma anche in un certo senso incapace di incidere sui dossier pure a causa dell’atteggiamento del suo presidente del Consiglio:

E qui emerge una questione di fondo: «A Renzi l’Europa interessa poco, ai Consigli europei è palesemente annoiato, non gli piacciono i rituali, i meccanismi, il modo di lavorare. Attacca questo e quello, ma poi si spazientisce con i dettagli, che sono tutto, e si estranea. Il premier pensa di poter esportare in Europa i due capisaldi della narrazione che lo vede vincente in Italia: la rottamazione e le riforme con cui sta cambiando il Paese. Ma il problema è che nell’Unione ci sono 28 Stati sottoposti a stress politici anche superiori a quelli dell’Italia. Cosa vuole che gliene importi agli spagnoli della riforma del Senato, quando loro rischiano la secessione della Catalogna? Dire che l’Italia è più forte perché ha fatto le riforme non impressiona nessuno. Pensi a Grecia, Portogallo, Irlanda. O per un’altra ragione alla Francia, alle prese con il terrorismo e il Front National». Invece occorrerebbe un lavoro preparatorio sui dossier che oggi non c’è, una strategia e una tattica che fatichiamo a trovare, «alzando la paletta al momento giusto del processo decisionale, non a giochi fatti», individuando priorità irrinunciabili perché non si può mai vincere su tutta la linea.

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La querelle è iniziata nei giorni scorsi prima con lo scambio di dichiarazioni tra l’Unione anonima e il governo italiano, poi con le parole “maschie” di Juncker e infine con le critiche a Martin Selmayr, il potente e discusso capo di gabinetto di Jean-Claude Juncker, con un filo diretto nei confronti di Angela Merkel:

«Ma il problema — dicono le fonti — non è qui, è in Italia. Il premier non ha un pensiero strategico sull’Europa, che considera quasi altro da sé. Anche per questo manca nel governo una vera regia generale della politica europea. Renzi in televisione ha detto che l’Europa non ne azzecca una. Ma in Europa si decide a 28, Italia compresa». La risposta renziana a tutto questo ha il nome e il volto di Carlo Calenda, chiamato a sostituire Stefano Sannino, il rappresentante permanente considerato troppo «compatibile» con le logiche brussellesi e per questo rimosso. Ed è una decisione che solleva interesse e intriga: «È un esperimento interessante — dice un antico osservatore di cose europee — ora ognuno sa che l’inviato di Roma all’Ue ha un rapporto forte e diretto col premier e che, quando parlerà lui, parlerà Renzi». Ma da solo Calenda non può far primavera. I problemi strutturali dell’Italia in Europa non si potranno dissolvere col disgelo di marzo. C’è da svelenire il clima di «irritazione» prodotto dalle bordate renziane. E soprattutto, deve cambiare il nostro modo di stare in Europa: «Per aver successo, Calenda deve sapersi portare dietro tutto il sistema italiano».

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