Fact checking
Babbo Natale porta il reddito di cittadinanza (o la caduta del governo)
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2018-11-03
Di Maio torna a litigare con Giorgetti sulla misura, ma la verità è che ci sono problemi che il viceministro non ha capito o sottovaluta. E che rischiano di travolgerlo
«Siamo stati sempre chiari. Il reddito sarà operativo nei primi tre mesi del 2019. Se vedo un problema non è nelle risorse o nelle norme ma quando qualcuno non crede in quello che stiamo facendo. Se qualche membro del governo non crede in quello che stiamo facendo allora è un rischio per i cittadini prima di tutto». Luigi Di Maio manda il suo primo penultimatum democristiano al governo Lega-M5S in un’intervista rilasciata oggi e l’obiettivo è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, “simbolo” delle perplessità del Carroccio sulla nuova fase economica e sulle sue ripercussioni.
Babbo Natale porta il reddito di cittadinanza (o la caduta del governo)
Da giorni Giorgetti e l’ala trattativista del governo stanno infatti spingendo per rimandare le riforme più costose della Manovra del Popolo a metà del 2019, per costruire una legge di bilancio con meno spese e più digeribile in sede europea. Dall’altra parte i grillini vogliono tenere il punto un po’ perché l’obiettivo del 2019 sono le elezioni europee e presentarsi a mani vuote metterebbe a rischio il progetto M5S, un po’ perché anche questo è un modo per tenere alto lo scontro con Bruxelles in attesa di nuove occasioni di contrasto. La figura da caciottari fatta dal M5S Europa con il video di Djisselbloem manipolato è la cartina di tornasole dell’atteggiamento ostile dei grillini nei confronti dell’Europa, che spesso va al di là della semplice ottusità percepita: nella replica in cui i grillini sostengono di aver ragione loro dimostrano di non aver nemmeno capito di cosa stesse parlando davvero l’ex presidente dell’Eurogruppo.
Dall’altra parte c’è la Lega. «Il reddito di cittadinanza ha complicazioni attuative non indifferenti – ammette il potente sottosegretario leghista – Se riuscirà a produrre posti di lavoro, bene. Altrimenti resterà un provvedimento fine a se stesso». Quello che Giorgetti non esplicita è che il ritardo per organizzare i centri per l’impiego – necessari per dare il via libera al reddito – è talmente accentuato che ogni ipotesi di rendere operativa la riforma «al massimo entro fine marzo», come sostiene Di Maio, rischia di rivelarsi una pia illusione.
Rebus di cittadinanza
La controffensiva grillina prevede come prima mossa il rifiuto dello strumento del disegno di legge come veicolo della riforma. «Faremo un decreto», promette Di Maio perché ha capito che alle brutte potrà mettere la fiducia e chiudere la discussione nel primo momento utile. Tommaso Ciriaco su Repubblica dice poi che c’è da lavorare sulle perplessità del ministero dell’Economia:
Giovanni Tria sostiene ormai con ogni interlocutore che la manovra presentata all’Europa indica un deficit sovrastimato, al 2,4%. In realtà, prevede in privato, si rivelerà più basso, probabilmente al 2%.
La ragione? Parte delle risorse stanziate non saranno realmente spese proprio a causa dei ritardi sul reddito di cittadinanza e sulla Fornero. Il ministro dell’Economia vorrebbe addirittura mettere nero su bianco questa proiezione al ribasso, per rasserenare mercati e Commissione europea. Ma il divieto del Movimento è categorico.
A Palazzo Chigi intanto si affaccia un altro dato allarmante: l’indice per le attività del settore manifatturiero di ottobre arretra come mai negli ultimi quattro anni. Un nuovo segnale che la battaglia contro l’Europa e la tensione sui mercati fiaccano la crescita e rischiano di far debordare ulteriormente i conti pubblici.
Il decreto per il reddito di cittadinanza
Lo strumento del decreto per il reddito di cittadinanza poi continua a destare perplessità tecniche oggettive: sono stati stanziati 9 miliardi all’anno, di cui 6,8 freschi e il resto ereditato dal REI di Gentiloni. Ingenti, ma insufficienti per dare 780 euro ai 6 milioni e mezzo di poveri che Di Maio vuole raggiungere. A questo punto, spiega Valentina Conte su Repubblica, si aprono alcune prospettive di compromesso che però potrebbero portare i grillini ad avere difficoltà elettorali significative nel momento dell’attuazione:
Ecco dunque il primo nodo: erogare meno soldi di quanto promesso o limitare la platea? Al momento si sa che reddito e pensione saranno vincolati all’Isee della famiglia, l’indicatore di reddito e patrimonio. E che questo non supererà i 9.360 euro. L’assegno poi dovrebbe essere di soli 500 euro per un single. I restanti 280 euro verrebbero erogati per pagare l’affitto o semplicemente non assegnati, se si abita in una casa di proprietà (come il 20% dei potenziali beneficiari, soprattutto al Sud). Troppi i punti interrogativi.
A partire dalle modalità di distribuzione del denaro. Serve una domanda all’Inps o tocca allo Stato avvertire il cittadino povero, come ripete la viceministra all’Economia Laura Castelli? Bisogna avere un conto corrente o arriva a casa una social card? Ci sono vincoli “etici” di spesa, tipo sigarette no e pane sì, come pure sosteneva Di Maio? Se non si spende tutto, il resto si perde? E poi il nodo dei nodi: i centri per l’impiego. C’è un miliardo all’anno per riformarli (in partenza erano due). Ma occorre tempo. Come assicurare allora le tre offerte di lavoro “congrue” – adatte cioè al curriculum e non lontane da casa – che, se rifiutate, fanno perdere l’assegno?
Il rischio che qualcosa o molto vada storto è palese. Restringere la platea potrebbe portare molti che magari hanno votato il M5S pensando di avere diritto a rimanere cocentemente delusi, con evidenti ripercussioni nel segreto delle prossime urne. Ampliarla potrebbe voler dire finire nella polemica delle maglie larghe sui giornali a partire dal primo giorno del provvedimento, scatenando così una tortura della goccia elettorale con ripercussioni più lente ma più catastrofiche nel medio periodo. Comunque vada, rischia di essere un insuccesso. O di bloccarsi tutto prima per una crisi dello spread.