Quando Berlusconi portò i fascisti al governo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-09-29

Piccola storia di quando Berlusconi sdoganò “i fascisti” e la Lega portando per la prima volta Fini e Bossi al governo del paese. E come finì quel governo

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“Lega e fascisti li abbiamo costituzionalizzati noi. Senza di noi sarebbero una destra estremista incapace di vincere”: Silvio Berlusconi ha fatto arrabbiare i suoi alleati ieri con la dichiarazione dal palco del Teatro Manzoni a un convegno di FI sulle pensioni. A cosa si riferisce il Cavaliere, che oggi, 29 settembre, compie 83 anni?

Quando Berlusconi portò i fascisti al governo

“Siamo obbligati a stare nel centrodestra, se loro non avessero noi in coalizione non sarebbero centrodestra, sarebbero una destra estremista, non avrebbero la capacità di vincere e sicuramente sarebbero incapaci di governare”, ha poi aggiunto Berlusconi per esplicitare il suo pensiero che ha fatto arrabbiare sia Giorgia Meloni che Matteo Salvini. “Non so bene a cosa si riferisca Berlusconi con le sue etichette, certo non a FdI – ha detto al Corriere della Sera la presidente di Fratelli d’Italia, diventato, secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, secondo partito nella coalizione -. Mi paiono dichiarazioni di chi è in chiara difficoltà, posso comprendere…”.  “Ho sentito parlare di fascisti. Qua non ci sono fascisti, ci sono italiani orgogliosi di essere italiani. Non è che se uno difende l’Italia è fascista”, ha invece risposto Salvini oggi dal palco della Coldiretti a Bologna. Eppure questa storia dei fascisti e dei leghisti sdoganati è vera e comincia il 23 novembre del 1993.

berlusconi 1992

Quel giorno colui che all’epoca era “solo” il presidente della Fininvest durante una conferenza stampa in occasione dell’inaugurazione del centro commerciale Shopville Gran Reno a Bologna parlò della fase politica italiana, mentre il pentapartito che reggeva il governo era falcidiato dall’uragano di Tangentopoli che stava spazzando via il PSI e alti esponenti della Democrazia Cristiana, del Partito Repubblicano, del Partito Liberale e del Partito Socialdemocratico. Qualche mese prima i referendum proposti da Mario Segni sancirono la fine del proporzionale e l’introduzione del Mattarellum, cioè di un sistema di voto in gran parte maggioritario, che spingendo i partiti ad accorparsi in coalizioni avrebbe segnato la fine di un’epoca. Dinanzi ai nuovi scenari Amato rassegnò le dimissioni e subentrò un governo guidato per la prima volta non da un parlamentare ma da un tecnico indipendente, Carlo Azeglio Ciampi, che avrebbe traghettato il sistema verso la seconda repubblica.

Quando Berlusconi invitò a votare Gianfranco Fini

All’epoca si votò per la prima volta nelle città con il nuovo sistema elettorale che prevedeva il ballottaggio. A Roma erano rimasti in gara Francesco Rutelli e Gianfranco Fini. E il Cavaliere, a sorpresa, dichiarò che la sua preferenza andava all’allora segretario del Movimento Sociale Italiano: ”Se dovessi votare il 5 dicembre per il sindaco di Roma, non avrei dubbi: Gianfranco Fini, che è un esponente di quelle forze moderate, di quella Italia che lavora, che produce, che devono riunirsi in una aggregazione che si contrapponga decisamente al rassemblement delle sinistre, che non rappresentano certo il nuovo sia in uomini che in idee e non credo che siano i protagonisti più adatti per favorire lo sviluppo del paese”. L’obiettivo dichiarato di Berlusconi era quello di creare un fronte dei moderati che alle prossime elezioni politiche, che si sarebbero svolte nel 1994, non vincesse il Partito Democratico della Sinistra all’epoca guidato da Achille Occhetto. Per quello voleva costruire “un rassemblement dell’area moderata” che coinvolgesse “tutti i responsabili delle forze in campo, da Segni a Martinazzoli ad altri”.

berlusconi gianfranco fini

All’epoca Berlusconi non lo diceva ma la sua intenzione era già quella di scendere in campo. Il “fronte moderato” che il Cavaliere voleva riunire attorno a sé non aveva però alcuna intenzione di legarsi a lui e allora il 26 gennaio 1994 il Cavaliere “scese in campo” con il famoso discorso che cominciava con “L’Italia è il paese che amo”. Le elezioni che segnarono l’inizio della Seconda Repubblica erano programmate per il 27 e il 28 marzo.

Le elezioni del 27 marzo 1994

Proprio perché il sistema maggioritario prevedeva, anzi costringeva i partiti a riunirsi in alleanze, Berlusconi strinse due distinti accordi al Nord e al Sud: si alleò nel settentrione con la Lega del Senatùr Umberto Bossi che all’epoca costituiva una forza nascente (era presente in parlamento da due legislatura con un senatore e due deputati, nel 1992 aveva preso l’8.6% “stracciando” la Democrazia Cristiana a cui all’epoca si contrapponeva) e nel meridione con Alleanza Nazionale, la “creatura” che Gianfranco Fini, ex delfino di Almirante, aveva messo su facendo confluire gran parte del Movimento Sociale Italiano insieme ad altre forze per togliersi l’etichetta di fascisti.

 

berlusconi fascisti
Foto da: Wikipedia

Berlusconi vinse le elezioni del 1994 e Forza Italia, all’esordio in quella tornata elettorale, diventò il primo partito italiano superando d’un soffio il PDS di Occhetto. La coalizione che vedeva in campo il Polo delle Libertà, il Polo del Buongoverno e il CCD-UDC di Pierferdinando Casini ottenne 16 milioni e mezzo di voti alla Camera contro i 13, 3 del centrosinistra e i sei milioni della coalizione che riuniva Mario Segni e il Partito Popolare Italiano, erede della vecchia DC. Eccolo, lo sdoganamento di Lega e fascisti da parte del Cavaliere.

 

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Foto da: Wikipedia

Otto mesi dopo quel governo era già caduto nonostante fosse il primo con la partecipazione di ex esponenti del Movimento Sociale Italiano e della Lega. A differenza di quanto raccontò per anni Berlusconi, le sue dimissioni, consegnate nelle mani di Oscar Luigi Scalfaro il 22 dicembre 1994, furono dovute al voltafaccia della Lega Nord, che tolse la fiducia all’esecutivo durante la preparazione della legge finanziaria perché Bossi bocciò la riforma delle pensioni proposta dal ministro Lamberto Dini e perché riteneva tradito l’accordo per il federalismo stipulato con il Cavaliere. Berlusconi chiese le elezioni ma fu sostituito in carica proprio da Dini.

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