I piani di Renzi per voto e governo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-02-12

Il segretario è pronto a dimettersi per aprire la fase congressuale e puntare al voto a giugno e settembre. Ma all’orizzonte c’è ancora un governo di Grande Coalizione con Forza Italia. Nel quale lui non sarebbe presidente del consiglio. E l’accordo sulla legge elettorale è di nuovo lontano

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Matteo Renzi è pronto a dimettersi domani da segretario del Partito Democratico per aprire subito la stagione del congresso del partito e chiuderla entro aprile. Per essere pronti ad andare alle urne a giugno o a settembre. Correndo anche il rischio di trovarsi per l’ennesima volta senza una maggioranza in una delle camere o in entrambe e con la prospettiva di un’alleanza di Grande Coalizione con Silvio Berlusconi. Nella quale però appare naturale che non sarà lui il prossimo presidente del Consiglio.

I piani di Renzi per voto e governo

I piani di Renzi per voto e governo presuppongono quindi altri scenari di ingovernabilità, nei quali non emerge un vincitore chiaro per le elezioni: è significativo che se ne parli mentre in teoria c’è la legge elettorale ancora da votare. Ed è sintomatico della scarsa reale disponibilità a trovare un accordo da parte delle forze politiche nonostante gli annunci e le corse di questi giorni. Tornando a Renzi, la sfida del congresso anticiperebbe quindi quella delle elezioni politiche, come racconta oggi Marco Galluzzo sul Corriere della Sera:

Se rispetterà questo calendario per Renzi si aprirà ovviamente anche una resa dei conti interna: non sono pochi i candidati a succedergli, non tutti condivideranno il resto dell’agenda che ha messo nero su bianco. Il congresso del Pd, immediato, servirà a chiarire i rapporti di forza; il passo successivo nelle intenzioni di Renzi dovrebbero essere elezioni politiche anticipate: a giugno, se il governo di Paolo Gentiloni riuscirà ad apportare delle minime modifiche alle norme elettorali in grado di rendere i sistemi di Camera e Senato più omogenei, anche senza un passaggio parlamentare. Oppure, al più tardi, a settembre, ma prima del voto tedesco, che dovrà riconfermare o meno la Cancelliera Angela Merkel e la sua maggioranza.

gentiloni renzi

Lo scenario che si aprirebbe un attimo dopo il voto anticipato, sarebbe un governo di coalizione fra Pd e partito di Silvio Berlusconi. Almeno questo è l’obiettivo, con queste norme elettorali, di Renzi, convinto che il partito di Angelino Alfano, attuale ministro degli Esteri, leader di Ncd — che in questi tre anni ha tenuto in vita gli esecutivi di Letta, Renzi e Gentiloni — non avrà un risultato tale da consentire un bis dell’attuale maggioranza. Se un passo indietro potrà aiutare la nascita di un esecutivo fra Pd e FI, il politico nato a Pontassieve sarebbe disponibile a compierlo, come disse anche al Corriere.

Renzi però non vuole votare una legge elettorale con il premio di coalizione, che darebbe una possibilità al Partito Democratico di raggiungere il magic number alla Camera e al Senato ma costringerebbe poi il PD ad allearsi per andare al governo.

Partito Diviso

Sarà uno snodo cruciale per i prossimi mesi la direzione Dem che si riunisce lunedì pomeriggio a Roma. In platea potrebbe tornare, dopo lunghissima assenza, Massimo D’Alema. E Renzi, che ha invitato anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, traccerà innanzitutto il quadro politico, con la battaglia da condurre in Europa per evitare una manovra recessiva. Al Paese, è il mantra dei renziani, servono elezioni per chiudere una legislatura finita il 4 dicembre. E votare a giugno (in subordine, a fine settembre), resta l’obiettivo mai del tutto accantonato. Certo, i renziani ammettono che i margini sono strettissimi. Le resistenze sono emerse fortissime nella stessa maggioranza Pd, che rischia sul punto una frattura insostenibile. E poi sulla via delle urne anticipate si frappone il nodo della legge elettorale. Renzi dovrebbe perciò sollecitare in direzione un confronto parlamentare in tempi brevissimi. Ma neanche nel Pd c’è accordo su una proposta unitaria. Perciò, afferma più di un parlamentare renziano, a questo punto servirebbe da parte di Gentiloni una presenza maggiore, come “facilitatore” di un’intesa. Negli ultimi giorni avrebbero restituito moderata fiducia in casa Pd e la voglia di puntare alle urne, i sondaggi che registrano un primo calo M5s dopo la vicenda di Roma.

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