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Perché Fontana ha disobbedito a Salvini
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-10-22
Carmelo Lopapa su Repubblica scrive un retroscena che spiega il dietrofront del presidente della Lombardia Attilio Fontana di fronte al niet che Salvini avrebbe espresso sull’ordinanza poi firmata e da oggi in vigore, sul coprifuoco in regione
Carmelo Lopapa su Repubblica scrive un retroscena che spiega il dietrofront del presidente della Lombardia Attilio Fontana di fronte al niet che Salvini avrebbe espresso sull’ordinanza poi firmata e da oggi in vigore, sul coprifuoco in regione. Il leader della Lega avrebbe preferito che a prendere le decisioni sulle nuove restrizioni fossero stati i sindaci, in gran parte di centro sinistra anche perché «Conte non ci sta coinvolgendo in nessun passaggio, nemmeno sulle misure dell’ultimo Dpcm, ora non possono essere le regioni, quasi tutte di centrodestra, a togliergli le castagne dal fuoco». Poi martedì Fontana ha visto che i numeri della curva salivano e ha deciso diversamente:
Succede però che nelle successive 24 ore la situazione sia sfuggita ad ogni controllo “politico”. Martedì nell’arco di mezza giornata Fontana sente i sindaci dei capoluoghi, prende atto della gravità della situazione, dell’impennata della curva e decide col sostegno dei primi cittadini di scrivere l’ordinanza che introduce di fatto il coprifuoco notturno 23-5, assieme ad altre misure restrittive. Non lo chiama coprifuoco, certo, ma quello nella sostanza è. E il provvedimento viene inviato prima di sera al ministero della Salute, dove verrà controfirmato l’indomani da Roberto Speranza. Siamo a ieri mattina. Matteo Salvini non è stato informato in via preventiva del documento. «Voglio vederci chiaro», è sbottato infatti davanti alle telecamere. Raccontano che l’abbia presa malissimo. Dopo è andata anche peggio: quando ha chiesto conto e ragione a Fontana si è sentito rispondere che l’atto era solo formalmente della Regione, che la richiesta era stata formulata dai Comuni. Come dire, la sua firma da governatore era solo un «atto dovuto». Non ha convinto il segretario federale. Rimasto col cerino in mano. Soprattutto perché è passata la vulgata di un suo tentativo di stoppare l’ordinanza e addirittura di voler interferire sul merito delle misure («A che titolo interviene? Vuole bloccare le restrizioni per fare propaganda», le accuse da Pd e M5S). «Non è così, non l’avrei fatto mai», spiegava ieri l’ex vicepremier ai suoi.