Perché Beppe Grillo non andrà in carcere

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-09-15

Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiega che è impossibile che il leader del M5S finisca in cella per la diffamazione di Franco Battaglia

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Luigi Ferrarella, cronista esperto di giudiziaria del Corriere della Sera, spiega oggi sul quotidiano perché Beppe Grillo, nonostante la condanna di ieri con revoca della sospensiva, non rischia di finire in carcere.

L’intricato puzzle di queste norme è complicato dal fatto che, in una riga del dispositivo, ieri la giudice non solo non concede la sospensione della pena (beneficio contemplato sotto i 2 anni a condizione che l’imputato non ricommetta reati nei prossimi 5 anni), ma ordina anche la revoca di un’analoga sospensione condizionale della quale Grillo aveva già goduto. Quando?
Non quando patteggiò nel 2003 (a pena convertita in 6.000 euro di sanzione pecuniaria) la diffamazione della senatrice a vita Rita Levi Montalcini, ma nel 1988 quando divenne definitiva la condanna a 14 mesi per l’omicidio colposo di due suoi amici e del loro bambino in un incidente stradale del 1981, per il quale Grillo era stato assolto in Tribunale ma condannato in Appello. L’esattezza della revoca di questa sospensione condizionale appare però dubbia, visto che dal 1988 al 2011 sono trascorsi ben più di 5 anni. Non solo: persino con la revoca della sospensione condizionale, quei 14 mesi di pena «rivivrebbero» ma nel contempo subito dovrebbero essere dichiarati coperti dall’indulto delle pene sotto i 2 anni nel 2006.

franco battaglia beppe grillo
Sempre dunque in chiave di fantacronaca giudiziaria, ove confermati anche in Appello e Cassazione, a Grillo resterebbero da scontare solo i 12 mesi della diffamazione di ieri in Tribunale ad Ascoli.

Ma Grillo non li sconterebbe in cella nemmeno se per ragioni di disobbedienza civile scegliesse di non chiedere alcuna delle misure alternative al carcere alle quali hanno diritto i condannati a pene sotto i 3 anni, come ad esempio l’«affidamento in prova ai servizi sociali». Senza istanza di Grillo, infatti, si creerebbe la stessa situazione nel 2012 dell’ex direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti: prima i pm (sul modello inaugurato allora a Milano dal procuratore Edmondo Bruti Liberati proprio dopo la condanna di Sallusti per diffamazione) e poi i giudici di Sorveglianza potrebbero ugualmente disporre d’ufficio, cioè anche senza richiesta di Grillo, che egli sconti la pena non in carcere ma in «detenzione domiciliare» come previsto dalla legge 199 del 2010 per pene sotto i 18 mesi.
E a quel punto, per assurdo, se Grillo volesse a tutti i costi finire in prigione, non gli resterebbe che scegliere di evadere da casa. Ma forse neanche questo basterebbe: non bastò a Sallusti, che nel processo per evasione fu poi assolto.

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