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Patrick Zaki non può dire tutto quello che gli è successo: ecco perché

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-12-09

Poche le parole pronunciate dallo studente egiziano dopo la scarcerazione. In ballo ci sono le accuse di cui dovrà rispondere il prossimo 1° febbraio

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Poche parole, senza sbilanciarsi più di tanto. Nelle brevi interviste rilasciate da Patrick Zaki ai giornalisti accorsi a Mansoura per la sua scarcerazione, lo studente egiziano dell’Alma Mater di Bologna ha parlato più del futuro che del passato. Nessun riferimento alle accuse mosse dal governo nei suoi confronti e scarsissimi pensieri sul come ha trascorso realmente questi 22 mesi nel carcere di Tora. Ma non si tratta di una rimozione del trauma subìto nel corso di questi quasi due anni.

Patrick Zaki non può dire tutto quello che gli è successo: ecco perché

Ai vari cronisti, il 30enne egiziano ha raccontato di come sia venuto a conoscenza della sua scarcerazione solo dopo che – in commissariato – erano state registrate e campionate le sue impronti digitali. E quell’inchiostro sulle mani, visibile nelle foto degli abbracci con i suoi familiari, rappresenta il simbolo della libertà, seppur vigilata. Perché il prossimo passo è preparare la linea difensiva in vista del prossimo 1° febbraio, quando ci sarà la prima udienza del suo processo. Perché per ben 22 mesi Zaki è stato in carcere con le accuse di “diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza”, per cui rischia una pena massima di 5 anni.

Ma, come riporta il quotidiano La Repubblica, durante gli scorsi mesi estivi è stato aperto un secondo fascicolo nei suoi confronti, per un reato ben più pesante (anche in termini di eventuale pena): associazione terroristica. Si tratta di un’accusa molto diffuso in Egitto (pena massima 12 anni) che, occorre sottolineare, viene avanzata nei confronti di tutte quelle persone che vengono etichettate come detenuti politici. E proprio questa vicenda spiega le poche parole pronunciate da Patrick Zaki nelle sue interviste. La Repubblica, infatti, spiega che la speranza è che questo secondo fascicolo decada, mentre per le prime accuse venga comminata una pena pari o inferiore ai mesi già trascorsi nella prigione di Tora.

Perché tutto questo avvenga però, ora occorre tenere un profilo basso, bassissimo: è questo uno dei punti chiave della trattativa che nei mesi scorsi ha coinvolto la rappresentanza diplomatica italiana al Cairo, quella americana e la controparte egiziana. Per questo, ai giornalisti che lo aspettano fuori dal commissariato e che poi lo vanno a trovare a casa, Patrick può dire pochissimo. Per questo, le sue donne vigilano su ogni sua parola con la massima attenzione, molta più di quella che, si percepisce immediatamente, ci metterebbe lui.

Il basso profilo, dunque, è una scelta strategica con un obiettivo ben preciso. Zaki ha parlato poco, quasi per nulla, della sua detenzione e non ha mai fatto riferimento alle accuse mosse dalla Procura egiziana nei suoi confronti. In attesa di quel 1° febbraio che potrebbe segnare il punto di svolta per ritrovare, questa volta definitivamente, quella libertà persa il 7 febbraio del 2020, quando venne arrestato all’aeroporto de Il Cairo.

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