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L’appello per un nuovo referendum sulla Brexit
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-10-20
150.000 persone, in meno di 24 ore, hanno firmato una lettera per chiedere un referendum finale dopo la marcia di 1 milione di persone ieri davanti al Parlamento di Londra. Intanto i laburisti vogliono portare Johnson in tribunale
Più di 150.000 persone, in meno di 24 ore, hanno firmato una lettera per chiedere un referendum finale per la Brexit dopo la marcia di 1 milione di persone ieri davanti al Parlamento di Londra. La lettera, organizzata da People’s Vote e The Independent, invita i funzionari del Regno Unito e dell’UE a fare tutto il possibile per dare al popolo britannico un voto sull’accordo finale Brexit – esortandolo a lasciare che la nazione dimostri se l’accordo proposto da Boris Johnson rappresenta o meno la “volontà del popolo”. Prima della scadenza finale del Brexit, l’appello sarà consegnato contemporaneamente a Downing Street e alle Camere del Parlamento, nonché al Parlamento europeo e al Consilium Building di Bruxelles, dove si riunisce il Consiglio europeo.
L’appello per un nuovo referendum sulla Brexit
Intanto il governo britannico di Boris Johnson è convinto dopo la seduta di ieri di avere “i numeri” per far passare già nei prossimi giorni a Westminster l’accordo sulla Brexit raggiunto con Bruxelles, malgrado l’intoppo dell’emendamento pro rinvio che ieri ha fatto saltare il voto alla Camera dei Comuni. Lo ha detto oggi alla Bbc il ministro degli Esteri e vicepremier de facto, Dominic Raab, aggiungendo che anche molti governi Ue sarebbero “profondamente a disagio” di fronte all’ipotesi di una proroga. “A dispetto di certi intrallazzi parlamentari”, ha detto Raab, “sembra proprio che abbiamo i numeri per far passare” il deal. Per questo l’esecutivo intende riproporre la questione in aula già a partire da domani. I conteggi sull’emendamento pro rinvio presentato ieri in sfida al governo dal dissidente Tory Oliver Letwin, come una sorta di garanzia aggiuntiva contro il timore di un no deal fatto rientrare dalla finestra dai brexiteer più oltranzisti, ha in effetti dimostrato che Johnson potrebbe farcela: almeno sulla carta. Sommando coloro che hanno votato contro l’emendamento ai 16 fra ex Tory e laburisti pro Brexit che hanno invece contribuito ad approvarlo, ma dicendosi pronti poi a votare per il deal del premier, la maggioranza infatti si ribalterebbe. Tanto più che lo stesso Letwin ha confermato oggi di essere ora pronto a riallinearsi. L’unica incognita riguarderebbe a quel punto il sostegno a un prossimo emendamento annunciato dal Labour per cercare d’imporre la richiesta d’un secondo referendum da affiancare all’eventuale approvazione del deal.
Le opposizioni britanniche vogliono invece portare Boris Johnson in tribunale per la doppia lettera inviata all’Ue su una possibile proroga della Brexit: la prima – non firmata – per chiederla, come prescritto dalla legge anti-no deal (Benn Act); la seconda per argomentare la contrarietà del governo. I ministri ombra laburisti Keir Stramer e John McDonnell hanno bollato la manovra come “infantile” ed evocato un possibile “oltraggio alla corte” (oltre che al Parlamento) del premier Tory, che dinanzi a un giudice scozzese s’era impegnato a rispettare il Benn Act senza minarne i fini. Sulla stessa lunghezza d’onda Ian Blackford, capogruppo degli indipendentisti scozzesi dell’Snp a Westminster, secondo il quale l’invio di una lettera non firmata mina “la dignità dell’ufficio del primo ministro” e il comportamento di Johnson “sarà materia per i tribunali”.
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