Matteo Renzi e gli errori che (non) ha fatto

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-01-15

L’ex premier riemerge dal lungo silenzio con un’intervista a Repubblica. La tesi è: «il governo ha fatto bene ma non ha saputo raccontarsi. Nessuna autocritica nel merito dell’azione dell’esecutivo, ma soltanto scarsità nella comunicazione»

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Oggi Matteo Renzi riemerge dal silenzio diplomatico di questi giorni rilasciando una lunga intervista a Ezio Mauro su Repubblica. L’ex direttore del quotidiano gli chiede di parlare dei suoi errori e Renzi lo fa, a modo suo. Ovvero dicendo che «ho agito spesso senza riuscire a fare una teoria di quel che facevamo, senza “ideologizzare” la rotta del governo, senza raccontare la profondità culturale di quel che proponevamo al Paese. Abbiamo fatto la più grande redistribuzione di reddito della storia fiscale italiana – gli 80 euro – ma abbiamo accettato che fosse presentata come una mancia. Ma almeno noi lo abbiamo fatto, dopo anni di chiacchiere». Insomma, il governo ha fatto bene ma non ha saputo raccontarsi. Nessuna autocritica nel merito dell’azione dell’esecutivo, ma soltanto scarsità nella comunicazione. Illuminante il botta e risposta sulle nomine (o sui tentativi di nomina) dei suoi sodali in posizioni apicali del governo:

Più cultura, dunque, non solo politique d’abord?
«Se cerca uno slogan ne ho uno migliore: meno slide, più cuore».
E magari meno Giglio Magico, no? Non crede sia una mancanza di ambizione scegliere i più fedeli a Firenze invece che i più bravi in Italia?
«Dissento radicalmente: io ho sempre cercato di scegliere i più bravi. Ogni leader nel mondo ha un gruppo di collaboratori storici, anche del proprio territorio. E se lei si riferisce a Boschi e Lotti le dico che sono due persone straordinarie, professionisti eccellenti».
E la Manzione, capo dei vigili urbani a Firenze che diventa responsabile del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi?
«Talmente brava che è stata confermata anche da Gentiloni. Tutto qui questo mitico Giglio Magico?».
E il suo amico Carrai candidato per settimane a guidare la cyber security?
«E poi non lo abbiamo nominato. Forse avrebbe fatto comodo la sua competenza, sa?».
Ma ci sarà pure un ufficiale dei carabinieri laureato all’Mit che è altrettanto competente e in più ha giurato fedeltà alla Repubblica e non a lei, no?
«Adesso ascolti me: all’Eni dopo un lungo colloquio ho nominato De Scalzi, che non conoscevo, all’Enel Starace che non avevo mai visto, alle Ferrovie Mazzoncini che non è certo fiorentino, a Finmeccanica Moretti, alla Cdp Costamagna. Vogliamo parlare delle nomine nelle forze dell’ordine o ai servizi? Vogliamo discutere di Guerra e Piacentini che hanno accettato di rinunciare a stipendi milionari per lavorare con me? Vogliamo dire che col mio governo Fabiola Gianotti è arrivata a dirigere il CERN e Filippo Grandi l’Alto Commissariato per i rifugiati? Sono orgoglioso di queste scelte, altro che gigli e magie».

«Non starà qui a snocciolare la propaganda, visto che lo ha fatto ad ogni ora del giorno e della notte in tv e non le è servito, non le pare?», gli chiede a un certo punto Mauro piuttosto stupefatto. E in effetti l’intenzione sembra davvero quella. Sulle banche, vero e  proprio architrave della perdita di consenso del governo che si è sostanziata nella sconfitta al referendum, Renzi è ancora una volta impermeabile.
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Nega ancora una volta di aver avuto un ruolo nella sostituzione di Viola ibn MPS (cosa che ha fatto anche il suo ex ministro: ma allora chi decide?), tira fuori Banca 121 per mandare un segnale a D’Alema senza nominarlo, come ai bei tempi dei ricatti della Prima Repubblica, se la prende con i “tweet” della Casaleggio Asssociati senza riuscire in alcun modo a comprendere che è normale che un governo finisca nelle secche quando “dimentica” per mesi (anni?) un dossier e corre a decidere all’ultimo minuto, conservando poi una fonte di “chiacchiericcio” come la parentela tra uno degli amministratori e una ministra di primo piano:

Nelle banche però vi hanno trovati, da Etruria a Mps: non crede che vi sia costato molto elettoralmente?
«Sì. Ma è una clamorosa menzogna. E non vedo l’ora che parta la commissione di inchiesta per fare chiarezza sulle vere responsabilità, dai politici ai manager ai controllori istituzionali».
Ma lei come ha fatto a dire che “Mps è un bell’affare, un brand su cui investire” mentre andava a rotoli?
«Ho detto in pubblico quel che ho ripetuto a tutti gli investitori stranieri. Avevamo creato le condizioni per un investimento estero importante – il fondo del Qatar – che ha detto no il giorno dopo il referendum per l’instabilità politica. Non ci sarebbe stata operazione pubblica da venti miliardi con la vittoria sulle riforme».
E perché ha voluto far fuori Viola per far posto a Morelli gradito a Jp Morgan?
«Sfido chiunque a dimostrare che ho preso posizione contro Viola o a favore di Morelli. Piuttosto, sulle banche abbiamo perso con Monti la vera occasione di fare la bad bank come la Merkel. Ci sono responsabilità politiche decennali. E sul Monte prima o poi qualcuno racconterà la vera storia, da Banca 121 a Antonveneta. A proposito, vediamo cosa dirà la commissione di inchiesta sulle popolari venete».
E Etruria quanto vi è costata, col padre della Boschi in Consiglio?
«Molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l’unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no. Ma noi siamo stati di una trasparenza cristallina. In tempi di post verità è di bufale virali posso sperare che ci sia ancora qualcuno che legge le carte e non i tweet preparati in modo scientifico dalla Casaleggio e associati? Mi colpisce molto che Arezzo e Siena siano tra le poche città in cui il Sì ha vinto: segno che chi sta sul territorio conosce la verità e non crede alle rappresentazioni di comodo».

Infine annuncia che farà qualcosa per l’Unità e, almeno su una cosa, l’autocritica è completa: lo scarso rinnovamento della classe dirigente del Partito Democratico:

Non crede che il Pd abbia bisogno di aria fresca, troppi indagati, troppi notabili, troppe compromissioni come denunciava Saviano?
«Il mancato rinnovo della classe dirigente è stato un mio limite. Saviano lo ha detto con un tono discutibile, ma nel merito aveva ragione. Non si cambia il Sud poggiando solo sul notabilato. Idee nuove e amministratori vecchi? Sbagliato, non funziona. Togliere le ecoballe è importante, ci mancherebbe. Ma più ancora aprire il Pd a facce nuove. Voglio farlo».

Questo è il Renzi che si prepara a candidarsi per la prima volta alle elezioni politiche. Avrà bisogno di molta fortuna e di grandi capacità per vincerle. Rischiando di perderle, o – peggio – di arrivare primo senza vincerle. Come è accaduto al suo predecessore. Che non a caso alla fine per questo ha perso il posto.

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