Matteo Renzi e lo spread che fa salire i mutui

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Mentre Lega e M5S vanno allo scontro con il Quirinale, Matteo Renzi torna a esternare su Facebook andando all’attacco di Salvini e Di Maio e imputando loro colpe ben precise: “Dai prossimi giorni – infatti – i mutui per le famiglie costeranno di più, l’accesso al credito per le piccole imprese sarà più difficile e pagheremo di più gli interessi sul debito pubblico”.



In realtà lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i BTP e BUND, strumento che serve a calcolare il rischio-paese, che si considera in aumento quando il differenziale aumenta e in diminuzione quando diminuisce, non influenza direttamente i mutui dei cittadini che sono basati di norma su un altro tasso, ovvero l’Euribor se a tasso variabile, l’Eurirs se a tasso fisso. È giusto poi sostenere che l’accesso al credito per le piccole imprese sarà più difficile (se ovviamente questo trend continua), ma per questioni differenti e non correlate allo spread (le banche dal 2018 fanno i conti con i principi contabili IFRS9). Questo perché i titoli di lunga scadenza che le banche hanno in pancia, a tasso fisso, hanno un deprezzamento. Che incide sui bilanci, già provati, in tema di accantonamenti, dall’introduzione di IFRS9. In questo caso l’allargamento del differenziale tra Btp e Bund potrebbe scoraggiare le banche a erogare prestiti a famiglie e imprese, che potrebbero rivedere al rialzo gli interessi chiesti sui NUOVI mutui.



Vero, infine, che si pagheranno maggiori interessi sul debito pubblico, ma, spiega oggi Marco Palombi sul Fatto, l’eventuale aumento dei rendimenti riguarda solo i nuovi titoli emessi: “secondo una stima a spanne, ogni punto percentuale di crescita degli interessi costa circa 2 miliardi l’anno (per poi salire un po’nel tempo).Il debito italiano, peraltro, oggi ha durata media piùlunga rispetto al 2011 e questo consente di gestire meglio le aste”. Dino Pesole sul Sole 24 Ore di oggi spiega che nel caso in cui – stima l’Ufficio Parlamentare di Bilancio – si verificasse uno shock di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti (a partire da gennaio 2018 e per tutto il periodo di previsione del Def, quindi fino al 2020), la spesa per interessi crescerebbe di circa 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 miliardi nel secondo e 6,6 miliardi nel 2020. Di conseguenza, il fabbisogno crescerebbe di 0,1, 0,3 e 0,4 punti di Pil. A conclusioni non molto differenti perviene Carlo Cottarelli: se per ogni punto percentuale (100 punti base) di aumento dei tassi si producesse un incremento di pari dimensione del costo medio di finanziamento per imprese e cittadini, si avrebbe ogni anno un costo aggiuntivo di 1,8-2,8 miliardi. Nello scenario peggiore (spread di 500 punti base) l’impatto su famiglie e imprese sarebbe compreso tra 9,1 e 14,1 miliardi di euro di interessi aggiuntivi.



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