La storia delle mascherine “piemontesi” della Regione prodotte in Marocco e in Campania

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-17

Una piccola storia significativa: è esattamente con questo tipo di giochi di parole che la politica frega la cittadinanza: è formalmente vero che le aziende che hanno confezionato le mascherine sono piemontesi (e così la Regione può scriverlo bello grande sulla confezione) così come è sostanzialmente vero che quelle mascherine non sono state prodotte in Piemonte ma in Marocco e in Campania

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Sta suscitando una discreta ilarità la storia delle mascherine della Regione Piemonte “prodotte e confezionate da aziende Piemontesi” ma “made in Marocco”. In molti su facebook hanno ironizzato sul curioso annuncio presente nella confezione con tanto di P maiuscola e poi sulla molto più veritiera scritta sull’etichetta.

La storia delle mascherine “piemontesi” della Regione prodotte in Marocco e in Campania

Repubblica ha riportato tra gli altri il post di Mauro Salizzoni, ex re dei trapianti di fegato e ora vicepresidente Pd del Consiglio regionale: “Io, residente a Torino, non ho ancora ricevuto la mascherina della Regione. E voi? Lasciate un commento qua sotto dicendomi se vi è arrivata e, se volete, il comune di residenza (oppure mandatemi un messaggio in privato). Vedo da queste foto, che circolano in rete, che l’operazione autarchica sta andando sempre più a bagno”, e il riferimento è appunto alla famosa etichetta “Made in Marocco”.

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Lo stesso sarcasmo ha usato Carlo Bogliotti, direttore editoriale di Slow Food Edizioni, che almeno la mascherina l’ha ricevuta e sempre su Facebook ha scritto ironicamente: “Ho ricevuto grazie all’amministratore di condominio le mascherine promesse dalla Regione Piemonte. Molto gradite e anche comode, ne avevo bisogno e sono contento e grato di averle a disposizione mia e dei miei famigliari. Solo non pensavo che il Marocco fosse in Piemonte…”.

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Un esempio di comunicazione politica: le mascherine piemontesi nate in Marocco

La Regione però è intervenuta con un comunicato stampa che ha spiegato come mai c’è quell’etichetta in alcune (non tutte) le mascherine che arrivano ai piemontesi: “Si specifica che l’appalto per la realizzazione di 5 milioni di mascherine lavabili da distribuire gratuitamente a tutti i piemontesi è stato dato, attraverso bando di gara Scr, a tre aziende piemontesi. Le aziende Casalinda e Pratrivero si avvalgono della propria filiera di produzione, che include partner fuori dal territorio piemontese, ma comunque italiani. La ditta Miroglio, invece, si avvale del proprio stabilimento produttivo del Gruppo Miroglio in Marocco per una piccola parte della produzione destinata al Piemonte, circa 350mila mascherine su 2 milioni. Lo stabilimento e la produzione sono certificati e le mascherine prodotte per il Piemonte sono conformi al decreto legge 18 “Cura Italia” articolo 16 comma 2, come indicato nel bando di gara”.

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Ecco quindi spiegato l’arcano? Certo, ma questa è anche un’occasione per una piccola lezione di comunicazione politica: sulla busta intestata non c’è scritto “prodotto e confezionato in Piemonte” ma “da aziende piemontesi”, il che è formalmente vero visto che le ditte che le hanno prodotte hanno la sede in Piemonte. Le altre due aziende citate però confezionano le mascherine in Campania. Ma anche qui non c’è problema perché la loro sede è in Piemonte. O meglio: è esattamente con questo tipo di giochi di parole che la politica frega la cittadinanza: è formalmente vero che le aziende che hanno confezionato le mascherine sono piemontesi (e così la Regione può scriverlo bello grande sulla confezione) così come è sostanzialmente vero che quelle mascherine non sono state prodotte in Piemonte ma in Marocco e in Campania. E così chi le riceve potrà rallegrarsi dell’autarchia in salsa di bagna càuda con cui l’ente ha maschiamente risolto penuria di un bene di prima necessità, mentre chi ha lavorato davvero per produrle magari in Piemonte non ci ha mai messo piede. Un barbatrucco che oggi serve per le mascherine e domani chissà.

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